Pausa

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    kheiyw_zpsfa8dc2e4

    Narrato - "Parlato" - Pensato - "Parlato altrui"


    L'avevano trovato.
    L'avevano trovato e torturato, ed estirpato lui le informazioni e la confessione, e l'avevano rinchiuso.
    Ma Kheiyw, lei, voleva ucciderlo; l'avrebbe fatto se non l'avessero fermata.
    Quell'uomo era più di un assassino: era l'uomo che aveva ucciso il suo unico amico.
    Un uomo che uccideva suo fratello.
    Il ricordo di Skoll morto sotto il suo corpo era un qualcosa di troppo tangibile per non desiderare la morte di quel mostro; perchè i traditori meritavano una fine peggiore dei nemici.
    Kheiyw non sapeva come aveva fatto a resistere alla furia, come aveva permesso che la fermassero. Il ricordo di quel momento, il sangue che pompava inarrestabile premendo contro le sue tempie, i muscoli contratti, le labbra arricciate a mostrare i denti.
    Si era sentita il mostro che tutti temevano, e ne era stata felice.
    Ma tutto era finito.
    L'avevano allontanata.
    L'avevano allontanata e detto di prendersi una pausa, e che era stressata per l'incarico e per il lavoro, e anche bisbigliato tra di loro, quando pensavano non li sentisse, che era solo una ragazzina.
    I suoi diciassette anni pesavano in quei momenti come un macigno, e i suoi arti lunghi, e i suoi denti aguzzi, e il naso schiacciato, la rendevano tanto diversa quanto unica.
    Voleva esserlo.
    Che si ricordassero di lei, i suoi nemici, e che rimanesse loro impresso il suo volto e la sua forza e la sua rabbia, e che vedessero quando fosse terribile l'ira dei Cacciatori.

    E Skoll, Skoll, dov'era? In un letto, ancora, convalescente dopo il suo ritorno in vita. Per una volta la Cacciatrice non aveva tolto la vita, l'aveva donata; l'aveva fatta ritornare indietro nel corpo che l'aveva persa.
    E ora lei era in viaggio, pellegrinaggio per la Terra del Vento, alla ricerca di calma per quella crisi ormonale - chi diceva che l'adolescenza è l'età migliore probabilmente non la ricordava così bene come voleva far credere.
    Entrò in un villaggio; che volesse permettersi quel lusso? Sì, era così. Non avrebbe dormito sul terreno, quella notte; non avrebbe ucciso i briganti che cercavano di aggredirla, no; sarebbe rimasta in una locanda a sorseggiare minestra calda e a riposarsi su un materasso pulcioso.

    Entrò e si diresse, convinta, al bancone; dopo una contrattazione di qualche minuto ottenne una camera singola - le stava costando anche troppo - e una buona dose di sidro e zuppa al tavolo più lontano dal focolare - vecchie abitudini di spionaggio che rimangono. Si andò a sedere, controllando con lo sguardo la sala, il cappuccio sul volto e i suoi pugnali nella casacca.
    La locanda era semplice, uno stanzone grande con un camino sbeccato, una dozzina di tavoli alla rinfusa e panche addossate alle pareti. Una scala portava al piano superiore, dove vi erano le stanze, mentre una tenda sgualcita di un colore neutro separava la zona del bancone dal retro. Data l'ora tarda, la taverna era abbastanza piena, per metà da paesani rientrati dal lavoro e per l'altra da viaggiatori come lei.
    Kheiyw, con già il cappuccio calato in fronte, si addentrò nei meandri nel suo mantello ancora di più; non le piaceva dover viaggiare in modo da coprire le sue fattezze, ma proprio a causa di queste era troppo riconoscibile.
    Attese in silenzio che zuppa e boccale fossero recapitati al suo tavolo, osservando.

     
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    Istvan

    Istvan DiVega
    Narrato. "Pensato." - Parlato. -




    Terra del Vento: casa.
    Poter "finalmente" tornare a casa.
    Quando, davvero, BISOGNA tornare a casa.
    Perché la vita militare è troppo dura, troppo difficile e "almeno adesso che sei giovane, figliolo, almeno adesso che non siamo in piena guerra, devi assolutamente prenderti del tempo per riposare, per rivedere i tuoi parenti ed amici, magari trovarti anche una ragazza di buona famiglia e fare qualche altro piccolo DiVega combattente, eh?".

    In realtà non è che a Istvan dispiacesse così tanto la sua Terra o la sua famiglia... Solo che voleva apprendere, voleva combattere, voleva essere attivo, fare cose, non starsene impantanato a CASA.
    La sua casa, la sua torre, per l'esattezza: l'infinita torre dei DiVega, isolata da tutto il resto e al limitare della Terra del Vento.
    Gli ci sarebbe voluta un'altra mezza giornata di cammino a cavallo per raggiungerla e l'avrebbe potuta raggiungere tranquillamente, visto che era ancora l'ora di cena: ormai il suo ritmo circadiano era totalmente andato dopo l'ultimo viaggio nella Terra della Notte.
    Ma a che pro affrettarsi?
    Meglio godersi un'altra notte fuori, un altro giorno di cammino a cavallo, apprendere qualcosa dal mondo che lo circondava, finché poteva.

    Si apprestò ad una modesta taverna, legò il suo cavallo vicino alla zona di sosta, dandogli qualche piccolo buffetto e lanciando delle monete al garzone affinché portasse lui dell'acqua e del fieno.
    E poi entrò nella locanda: piccola, ma accogliente, rustica così come piaceva a lui, lontana da tutta l'eleganza di una casa nobiliare.
    Sorrise apertamente al locandiere, si guardò in giro ed ebbe un brivido osservando il fuoco per lo sbalzo di temperatura fra l'esterno e l'interno.
    Portava ancora parte dell'armatura addosso e odiava il caldo, così si diresse dal lato opposto della locanda, dove non c'era quasi nessuno, se non una figura incappucciata ad un piccolo tavolo.
    "Pfff... I soliti avventurieri perditempo che pensano di trovare chissà cosa in una taverna come questa e si divertono a fare i misteriosi negli angoli..."
    Pensando ciò, si sedette al tavolo accanto: non sapeva ancora se voleva smascherare quella finta aura di mistero o, semplicemente, provare a fare due chiacchiere e vedere se uno sconosciuto aveva ancora qualcosa da insegnarli.
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    Narrato - "Parlato" - Pensato - "Parlato altrui"

    Qualcuno iniziò a suonare uno strumento scordato. Kheiyw odiava la musica, soprattutto se suonata male. E dato l'orario probabilmente il musicista non era neanche ubriaco, ma proprio una capra con archetto e violino.
    La sala continuava a riempirsi, e con la gente arrivava il vociare, le risa, le urla. Un uomo corpulento con dei bicipiti grandi come la testa della ragazza palpeggiò la figlia del barista che stava servendo ai tavoli, il quale fece semplicemente finta di non vedere.
    La ragazza non mosse niente se non gli occhi, continuando a scrutare intorno a sé. Aveva la visuale perfetta di tutta la sala, eccetto per quei due angoli ai lati dei suoi occhi, uno dei quali era stato, ovviamente, occupato da qualcuno.
    Il ragazzo era arrivato qualche minuto dopo che lei si era seduta, il che la lasciava con l'amaro in bocca.
    Portava parti di un'armatura ma non aveva il viso coperto. Dai suoi abiti pensò di poter dedurre che era in viaggio da parecchio tempo, ma che non era appiedato come lei. Era giovane, nel pieno delle forze, e il sorriso che aveva rivolto all'uomo dietro il massiccio tavolo di legno quando era entrato facevano intendere che non aveva molto da nascondere.
    Eppure era arrivato poco dopo di lei, e accanto a lei si era seduto.
    L'ossessione prese pian piano posto nella sua testa, mentre si sforzava di non voltarsi per guardarlo meglio, per capire le sue intenzioni. Si rese conto di aver i muscoli del collo contratti nel momento in cui la ragazzina di prima, Kheiyw supponeva sua coetanea, le portò al tavolo il bicchiere di sidro, aggiungendo un flebile "La zuppa arriverà tra poco"
    La cacciatrice seguì i suoi movimenti, mentre tornava indietro e prendeva un grande mestolo di legno accanto il camino, rimestando nel pentolone appeso sopra il fuoco vivo.
    Guardare quella ragazzina servì a distrarla dallo sconosciuto vicino a lei.
    Si era quasi convinta a chiederle il suo nome; la ragazza prese la ciotola, la riempì e si voltò per portarla alla figura incappucciata, quando lo stesso uomo di prima le pizzicò di nuovo il didietro, facendola sobbalzare con esito disastroso.
    La sua zuppa si sparse lentamente sul pavimento.
    Ci fu un momento di subbuglio; risa, urla, imprecazioni. La ragazza se ne andò piangendo verso le scale, ma suo padre - o meglio la sua mano - l'intercettò prima, lasciando un segno rosso sulla sua faccia ben visibile anche da quella distanza.
    Kheiyw si rese conto di essersi spontaneamente alzata nel momento in cui l'uomo si voltò verso di lei dicendo in maniera abbastanza rozza di stare tranquilla, che la zuppa sarebbe arrivata.
    Si sedette, cercando di allentare la pressione sui muscoli, contratti come dal tetano, ma restando inevitabilmente tesa. Non capiva se lo era più per ciò che la ragazza aveva subito da uno sconosciuto o dal proprio padre, o per come lei aveva reagito.

     
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    Istvan DiVega
    Narrato. "Pensato." - Parlato. -



    Istvan restò ben comodo sulla sedia, fissando il soffitto e ponderando su cosa ordinare: il pensiero della figura incappucciata già era scomparso di fronte all'imponenza dell'appetito.
    Riportò gli occhi sui tavoli soltanto quando sentì dei passi fin troppo vicini: era una ragazza, probabilmente più giovane di lui, attraente seppur poco curata e visibilmente fiaccata dal lavoro, che serviva un boccale alla persona misteriosa.
    Sorrise alla giovane locandiera e stava per aprire bocca e chiedere la propria ordinazione, quando lei però si volse per tornare verso il pentolone sul fuoco.
    Per cui la osservò, nella speranza che si riavvicinasse per ordinare; e sembrava proprio che stesse tornando nella sua direzione, quando uno zotico omaccione le piantò una mano sul didietro, facendole rovesciare il contenuto della ciotola che aveva in mano.
    Istintivamente si alzò: per un secondo la sua attenzione fu catturata dalla figura incappucciata che era, a sua volta, scattata in piedi come una molla; ma non se ne curò, visto che nella sala si era sparsa l'agitazione.
    Nel frattempo la piccola vivandiera era corsa via in lacrime e la ritrovò giusto in tempo per vedere il padrone del locale, forse suo padre, piazzarle uno schiaffone in pieno viso per poi intimare di stare tranquillA la figura accanto a sé: una donna dunque, ma anche questo pensiero scivolò via, come quel cappuccio scuro che, lentamente, si risedette al proprio posto.

    Istvan, invece, scattò in avanti, con una sola falcata evitò di pestare la zuppa versata sul pavimento, riversò uno sguardo colmo di disprezzo all'omone molestatore e con altri pochi, lunghi e sicuri passi arrivò di fronte al locandiere e alla ragazza in lacrime.

    Si pose le mani sui fianchi, gonfiò il petto e lo guardò fieramente negli occhi, nonostante quello fosse più alto, più grosso e più anziano di lui: non voleva mancare di rispetto a nessuno, ma tali gesti non potevano di certo restare invendicati.

    Per cui parlò con calma e sicurezza:
    - Scusate, buon locandiere, ci tengo a chiarire la situazione: questa giovane è stata molestata da quell'uomo laggiù... -
    Allontanò per qualche istante il braccio dal corpo, indicando con sicurezza il grosso uomo che aveva infastidito bruscamente la ragazza, per poi riprendere:
    - Quindi essa non è veramente meritevole di tale punizione: non ha abbandonato impunemente il proprio posto di lavoro, si è semplicemente, a buon motivo, sdegnata per essere stata pubblicamente violentata! -
    Concluse il breve discorso sorridendo.

    Edited by .:|ArYa|:. - 22/8/2014, 18:15
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    kheiyw_zpsfa8dc2e4

    Narrato - "Parlato" - Pensato - "Parlato altrui"


    Capì perché era ancora tesa nel momento in cui il suo "vicino" di tavolo scattò verso i due protagonisti della scena, ergendosi in tutta la sua statura e buttando il petto in fuori come un colombo orgoglioso.
    "Scusate, buon locandiere, ci tengo a chiarire la situazione: questa giovane è stata molestata da quell'uomo laggiù, quindi essa non è veramente meritevole di tale punizione: non ha abbandonato impunemente il proprio posto di lavoro, si è semplicemente, a buon motivo, sdegnata per essere stata pubblicamente violentata!"
    Kheiyw glielo sentì distintamente dire, così come tutto il resto della locanda; compreso il colpevole della molestia, che si alzò scaraventando la panca su cui era seduto a terra, sul piede del malcapitato suonatore, che iniziò a uggiolare.
    Da lì ci fu solo confusione: l'uomo rispose al ragazzo qualcosa che lei non capì, il locandiere avvampò ma Kheiyw non sentì che disse neanche lui. La ragazza si nascondeva dietro il padre, il suo braccio stretto nel suo pugno, e piangeva.
    Il cacciatore fece l'unica cosa che poteva fare in quel momento: si alzò, prese il suo zaino, si fece strada tra il caos dilagante e, appena l'uomo mollò la presa sulla ragazza - le sembrò di vedere che avesse appena ricevuto un pugno in faccia, ma non ne era sicura - afferrò la piccola locandiera e la portò in fretta verso il retro, fortunatamente vuoto.
    La trascinò fino all'uscita e, una volta in mezzo al vicolo laterale su cui dava la taverna, la guardò in volto.
    Era probabilmente più giovane di ciò che pensava in un primo momento, anche se il suo viso era in quel momento rovinato da lacrime grosse e da una zona rosso vivo sulla sua guancia sinistra. Kheiyw le rigirò il viso tra le mani e lei non oppose resistenza, visibilmente spaventata.
    Si rese conto di avere ancora il cappuccio sulla testa e si affrettò a tirarlo giù, sforzandosi di sorridere.
    "Non temere, non ti farò del male. Lascia che ti aiuti."
    La cacciatrice non seppe dire se vederla in volto avesse migliorato lo stato d'animo della ragazzina, ma cercò di non curarsene - prese lo zaino e tirò fuori una pezzuola che corse a bagnare in un catino che aveva visto passando prima dal retro.
    Quando tornò la ragazza era ancora lì, seduta su un muretto basso. Kheiyw le passò la pezzuola, e lei se la passò sulla guancia dolorante.
    Si rese conto, nella profondità del suo animo, di odiare quell'uomo. Non aveva minimamente titubato nel colpire la figlia, cosa gli avrebbe impedito di menomarla, o ucciderla la volta successiva? E se faceva quello a sua figlia, che avrebbe fatto con un qualsiasi altro essere umano.
    Come una folgorazione si ricordò dello sconosciuto che per primo si era alzato a difendere la ragazza. Quello che aveva lasciato nella sala era un principio di rissa, e anche se la vera vittima della situazione era stata prontamente portata in salvo da lei, non sapeva che fine avrebbe potuto fare il ragazzo - che da come parlava sembrava più un nobilucolo che giocava alla guerra di un guerriero esperto.
    Vado. decise, voltandosi e andando a sbattere contro qualcuno che le si era avvicinato alle spalle.




    Ovviamente, non è detto che questo "qualcuno" debba esser Istvan: ti lascio la più completa libertà ;)
     
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    Istvan

    Istvan DiVega
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    Istvan non fece in tempo ad udire la risposta del locandiere, ma vide chiaramente il suo volto divenire rosso, prima di sentire una salda presa su una spalla che lo invitava a voltarsi violentemente.
    Tutto ciò, però, non lo prese alla sprovvista perché aveva udito chiaramente il grugnito dell'omone che aveva indicato, la panca cadere, il suonatore uggiolare (e smettere di suonare, le sue orecchie in qualche modo lo ringraziavano) e i pesanti passi avvicinarsi alle sue spalle.
    Così, quando udì la presa, aveva già la mano sull'elsa del pugnale, che sguainò dalla cintola con forza, andando a colpire con il pomolo il naso del grosso uomo dal basso, mentre compiva una torsione con il busto per schivare il pugno che probabilmente era già partito o sarebbe partito dalla sua mano libera.
    Non aveva modo, e non trovò saggio, guardarsi attorno, ma udì un gran confusione e ciò che notò distintamente fu una figura incappucciata (che aveva osservato fin troppo bene fino a poco prima per confonderla con un'altra) avvicinarsi e trascinare via la figlia del locandiere.
    "Un rapimento?" pensò, ma poi si diede dello stupido: era solo una giovane vivandiera e quella donna incappucciata era solo una che giocava ai misteri.

    Un istante di distrazione e il peso di quel grosso uomo gli fu addosso, facendolo rovinare all'indietro, finendo sul locandiere ancora presumibilmente paonazzo: immediatamente percepì una sensazione di viscosità in volto, ma non sentì alcun dolore, quindi colse il momento di confusione per divincolarsi dai corpi, facendosi di lato.
    Poté, così, appurare che il sangue che aveva sul mento e sul collo era fuoriuscito dal naso colpito dell'omaccione che adesso si stava rialzando dal corpo del "povero" locandiere che, nel frattempo, pareva aver colpito sodamente il capo contro i gradini di legno.
    Provò contemporaneamente senso di colpa per quanto accaduto e soddisfazione, ma dovette abbandonare ogni tipo di sentimento per scansarsi dall'avanzata di quel grosso farabutto infuriato, ferito e, per questo, ancora più goffo.

    Ebbe il tempo di guardarsi intorno, notando che gran parte della gente era semplicemente fuoriuscita di corsa dall'ingresso del locale, mentre la restante parte era costituita da nerboruti uomini ubriachi che palesemente non vedevano l'ora di poter alzar le mani.
    "Bifolchi", non poté fare a meno di pensare.
    Non avrebbe di certo sguainato la spada per loro e il pugnale che ancora stringeva in mano, con il pomolo insanguinato, era bastato, senza neanche usare la lama, a divincolarsi dal paonazzo locandiere e a mandare in un insensato berserk il molestatore.
    - Fatevi fuori fra di voi, se pensate che questa sia una nobile causa per farlo! - esclamò, benché probabilmente nessuno nell'immane confusione avrebbe potuto ascoltarlo.

    Tuttavia, il grosso idiota era ancora davanti a lui, ansimante, sporco di sangue e bramoso di prenderlo a cazzotti.

    Edited by .:|ArYa|:. - 23/8/2014, 13:22
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    La prima cosa che Kheiyw pensò fu di sfoderare il pugnale. I suoi bracciali erano dentro la sacca che portava in spalla, non avrebbe potuto raggiungerli.
    Dietro di lei vi era un uomo, i volto coperto da un cappuccio che lasciava scoperta solo la parte inferiore della faccia, su cui spiccava un sorriso smagliante circondato da una folta barba rossiccia.
    "Ma guarda, sei proprio tu, puttanella" disse, immobilizzandogli le braccia ma tenendosi a distanza tale da evitarsi una testata in piena fronte "Che ci fa un mostriciattolo come te in una taverna, eh? Qualche missione di spionaggio?"
    Nonostante la propria forza, non riusciva a spostare l'uomo di un millimetro. Muscoli di marmo la tenevano immobile e l'unica cosa che poté fare fu voltare la testa e gli occhi per guardare la ragazzina. Era arretrata, spaventata e con gli occhi spalancati; l'assassino non si mosse, forse non seguì nemmeno il suo sguardo, ma rise, sommessamente.
    "Abbiamo già conciato per le feste il tuo capo - la gilda sarà felicissima di torturare anche te, ragazzina"
    Kheiyw non poteva fisicamente muoversi. Chi era quell'assassino? La cacciatrice non solo non ne aveva mai sentito parlare, ma era così bravo da non essersi né fatto sentire arrivato alle sue spalle, né fatto vedere dalla ragazzina che gli era di fronte.
    "Come hai fatto a trovarmi?" fu tutto ciò che riuscì a ringhiare.
    L'uomo ridacchiò di nuovo, ma era rilassato, sicuro di averla nel sacco: "Questo, posso dire, di esser stato un grandissimo colpo di fortuna, bastarda"
    Con mosse esperte e a una velocità strabiliante le imprigionò le braccia dietro la schiena in una morsa; Kheiyw sentì la furia montare, ma fu del tutto inerme quando lui trovò il pugnale alla sua cintola e lo prese, sempre con quella risatina irritante.
    I kynnet susi fu tutto ciò che riuscì a pensare. Lei non poteva attivarli se non quando li aveva addosso, ma forse poteva trasferire in qualche modo la sua magia in modo da ferire l'assassino.
    E così fece, concentrando tutta la magia che riuscì a trovare nel suo corpo nel pugno chiuso, per poi aprirlo di scatto a farla scaturire all'esterno.
    L'assassino, che probabilmente non era a conoscenza delle sue doti, si spaventò e mollò la presa; Kheiyw si buttò subito in dietro, finendogli addosso e impedendogli di scagliare alcun coltello. I suoi occhi erano fissi sulla ragazzina: "Scappa!" fu tutto ciò che riuscì a dire, mentre l'assassino cadeva privo d'equilibrio con lei appresso.
    Non vincerò questo scontro, non ho nessuna arma se non i denti.
    La magia che aveva usato l'aveva già stremata, ma aveva la sua furia.
    Hanno ucciso Neor fu tutto ciò che riuscì a pensare, mentre con un urlo animalesco si voltava su se stessa e atterrava l'assassino.
    Non gli abbasso neanche il cappuccio: iniziò a colpirlo in faccia. La sua forza era disumana e la scagliò lontano, ma dal rosso che intravide si rese conto che anche lei gli aveva fatto qualche danno non da poco.
    Si rialzò e, agilmente, coprì il paio di metri che la separavano dall'angolo della strada. Avrebbe rapidamente preso i sui bracciali, li avrebbe indossati e avrebbe utilizzato il poco di magia che le restava per uccidere quel verme.

     
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    Istvan DiVega
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    E il grosso idiota non tardò a caricarlo: lo vide sbuffare come un toro e slanciarsigli addosso.
    Fortunatamente era fin troppo grosso, infuriato e ubriaco da essere lento e goffo, e riuscì a schivarlo con facilità, altrimenti avrebbe potuto anche rompergli qualche osso.
    Non appena gli fu a fianco, lo colpì con forza e precisione sulla nuca con lo stesso pomolo di prima e, dopo aver trovato una via di fuga più o meno sgombra da cazzotti volanti, la intraprese senza altri indugi: doveva essere la porta che dava sul retro e, quando sbucò in una stradina, se ne convinse, visto il grande tanfo di spazzatura.

    Si guardò attorno e restò basito quando vide la ragazzina di prima ancora piangente e, se possibile, più tremante, paralizzata dal terrore che le si leggeva negli occhi su un muretto, e due figure in piena lotta.
    "Che quei bifolchi siano arrivati fin qui per darsele?"
    Ma un istante dopo uno dei due litiganti prese il sopravvento sull'altro, correndo verso l'angolo della strada, e non poté non riconoscere il suo mantello.
    "La donna incappucciata che sedeva vicino a me..."
    In effetti, poteva essere scambiata per un uomo visto la mole imponente per una donna.
    D'altro canto, però, era sempre una donna e andava difesa, insieme alla locandiera, dall'ennesimo ubriacone.

    Scattò in avanti, con l'intenzione di frapporsi fra l'uomo e le due ragazze.
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    Prese il destro, e lo infilò. Stava per mettere il secondo bracciale, quando sentì qualcuno.
    Le avevo detto di scappare, maledizione!

    Kheiyw attivò rapidamente le sue armi e si scagliò di nuovo nel vicolo, a testa bassa.

    L'assassino non si fece prendere alla sprovvista; non il suo allenamento aveva sentito l'intruso prima che si ficcasse tra lui e il vicolo laterale.
    Tirò fuori dei coltelli da lancio e li scagliò nella sua direzione cercando di colpirlo almeno con uno (probabilità di successo: 90%*), mirando al busto.
    Nell'istante di distrazione che gli fu necessario per lanciare le armi, Kheiyw scattò, le lame dei bracciali accese di luce verde. L'assassino perse il vantaggio che aveva e dovette indietreggiare, onde evitare di finire affettato dalla rabbiosa cacciatrice.
    Lo scontro fu cruento; l'assassino mostrò un bracciale di metallo che gli copriva tutto l'arto sinistro e si connetteva con uno spallaccio, usando questo e lo stesso pugnale della ragazza per parare e deviare i colpi dei bracciali di Kheiyw. La sua guardia era formidabile, ma lei non gli lasciava tregua per attaccare, solo per difendersi.
    Uno dei due si sarebbe dovuto stancare, e Kheiyw era quanto mai determinata a uccidere quell'uomo.

    *Quello fa riferimento alla probabilità di Istvan di esser colpito da ALMENO un coltello. Avendo mirato al busto, in quel 90% sono comprese ferite alle spalle, ai fianchi e ai principali organi sotto lo strato dei muscoli. Ti auguro di non esser colpita allo stomaco, ho finito il bicarbonato :V buona fortuna!

     
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    Istvan riuscì solo a vedere i coltelli nella mano dell'aggressore e a pensare "quello non è un ubriacone", prima che le lame affilate piovessero su di lui.
    Non provò neppure a schivare perché erano troppi, istintivamente, semplicemente, si portò le braccia al viso, per proteggerlo da eventuali colpi, stringendo i pugni.

    Qualcosa lo aveva colpito al busto, sentiva già il sangue colore sotto gli strati di vestiti, ma l'adrenalina gli impediva di sentire dolore.
    Probabilmente anche perché il gambeson che indossava aveva ridotto di molto l'impatto.
    "E' solo qualche graffio" si disse, per rincuorarsi.

    Quando spostò le braccia, l'uomo di fronte a lui non c'era più e la donna incappucciata aveva estratto delle armi da braccia che avevano tutta l'aria di essere letali.
    In quel momento realizzò che, probabilmente, non era una viandante che cercava di crearsi un'aura di mistero.
    Era finito, inavvertitamente, in qualcosa di grosso.

    Abbassò lo sguardo su di sé e trovò conficcati nel gambeson ben tre coltelli.
    La vista per un attimo lo rese sgomento, ma l'addestramento prese il sopravvento e, uno ad uno, digrignando un po' i denti, li sfilò dalla (grazie al cielo) spessa imbottitura, infilandoseli nella cintura.

    Si tastò il petto: a parte il sangue che sentiva sgorgare ancora, non credeva di aver subito gravi danni, ma di sicuro in quelle condizioni rischiava di perdere troppo sangue.

    Voltò il capo verso la piccola locandiera atterrita e si morse il labbro: di certo non poteva rischiare che venisse ferita in quella follia.

    Le corse incontro, per come poteva, la afferrò, tuttavia con delicatezza, dal polso e provò a trascinarla via da lì, dicendole, per rassicurarla:
    - Questo posto è diventato troppo pericoloso per una giovane come voi. Vi porto via da qui, non vi accadrà nulla di male perché io vi proteggerò. -
    Pronunciò quelle parole con sicurezza, perché sentiva che era quella la cosa giusta da fare, tuttavia, dove l'avrebbe portata?
    In strada due folli assassini si affrontavano come in un libro d'avventure e dentro la locanda imperversava la rissa.
    "Dovrei riportarla a quel violento padre?"

    Edited by .:|ArYa|:. - 23/8/2014, 17:24
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    Quel maledetto era sempre un centimetro oltre la portata delle sue lame. Kheiyw continuò ad avanzare, anche quando lui cercò di contrattaccare. Non gli lasciava tregua, non gli dava spazio.
    Non lo temeva. Il suo pugnale non era avvelenato, quindi qualche graffio non la spaventava. Lui sarebbe morto.
    Stava iniziando girare in tondo; lei lo intuì e gli sbarrò la via di fuga, continuando a sospingerlo verso il muro della locanda.
    Urtò contro la pietra e deviò di lato, colpendola al braccio sinistro; lei lo colpì con lo stesso braccio sulla mano con il bracciale, tagliandogli la mano e costringendolo a mollare la presa.
    Gli piantò le lame ai lati del collo, la magia che sfrigolava a contatto con la sua pelle. Non aveva via di fuga.
    Il braccio le sanguinava, dove un lungo taglio aveva strappato la stoffa e la pelle sottostante; quel dolore era una liberazione, perché riusciva a togliere dalla sua testa il pensiero che doveva uccidere quell'uomo.
    L'ultima cosa che Neor mi ha chiesto: non uccidere più assassini.

    "Dove si trova Neor" gli ringhiò in faccia.
    Lui rise e le sputò, colpendo il sopracciglio destro; la saliva prese piano a scendere verso l'occhio.
    "Dove dovreste stare tutti voi. Sotto terra."
    Senza pensarci una seconda volta, incrociò le lame, facendone sfrigolare la punta sulla pietra e affettandogli la gola.

    Si era ripulita alla meno peggio dal sangue dell'assassino, aveva preso il suo pugnale, controllato tra le sue tasche e rimesso i bracciali al loro posto, ma non aveva trovato niente che potesse dirgli dove fosse il suo maestro.
    La ragazzina era fuggita come lei le aveva detto, e del folle che si era messo tra i due non c'era nessuna traccia. Tanto meglio, pensò; non aveva nessuna voglia di aver a che fare con chicchessia, quella sera.
    I rumori dentro la locanda si erano affievoliti. Meglio andarsene prima che qualche ubriaco andasse a vomitare sul cadavere dell'uomo che aveva appena ucciso. Mise lo zaino in spalla e si diresse verso un altro dei vicoli laterali.


     
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    La ragazzina si era lasciata trascinare proprio nel momento in cui tra i due litiganti iniziava a sgorgare copioso il sangue; istintivamente la sospinse più velocemente dentro al vicolo più vicino, come per non mostrarle ciò che stava accadendo.
    "Bastano i guerrieri e folli come questi a dover saggiare il sangue..."

    Mentre si allontanavano riuscì a percepire la voce, poderosa, della donna che ringhiava all'Assassino (era ormai certo della sua identità, non era così sprovveduto) "dove si trova Neor?": si accigliò, stringendo leggermente il polso della ragazza, come a volerla proteggere da quel martirio.

    Poi i rumori cessarono e Istvan si rese conto che non sapeva dove stava portando la giovane: non poteva trascinarsela dietro per sempre, tantomeno a casa sua.
    Per un istante immaginò i propri genitori che non rivedeva da anni mentre lo squadravano con disgusto pensando a chissà cosa potesse esserci stato tra loro due.
    Scosse il capo e si fermò.
    In un modo o nell'altro, doveva riconsegnarla alla sua famiglia. A quel violento padre.

    Prese un profondo respiro e si voltò verso la ragazza, cercando di distendere il proprio volto e di apparire sereno:
    - Voi volete tornare da vostro padre? -

    Edited by .:|ArYa|:. - 23/8/2014, 17:24
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    Neanche il tempo di girare l'angolo, che si trovò i due ragazzi davanti.
    Una ragazza dalla fisionomia quasi deforme, coperta di sangue nella parte alta del torace e sul braccio sinistro, con il mantello stracciato.
    Una cosa che si vede tutti i giorni, insomma.
    Kheiyw fece una cosa radicata nella sua natura: mostrò i denti.
    La ragazzina urlò.
    Lei si voltò e fuggì.


     
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    Istvan sentì dei passi, seppur silenziosi, alle sue spalle, aiutato dal silenzio che era calato improvvisamente e dalla tranquillità della notte che stava arrivando.
    Si voltò, portando istintivamente il proprio corpo più in avanti rispetto a quello della ragazzina, per cercare di proteggerla da chiunque si stesse avvicinando.
    E nel vedere chi era, i suoi sospetti presero forma: la donna incappucciata.

    Vide lo stato in cui era ridotta, il suo ghigno e, finalmente, le sue fattezze: lui sapeva cos'era.
    "Una mezzo-fammin..."
    L'avevano addestrato a riconoscere e a combattere contro qualsiasi razza, ma a giudicare dal combattimento di poco prima, quella non era una mezzo-fammin qualunque.
    Non fece in tempo a mettersi in guardia con il proprio pugnale, che la donna si voltò e si mise a correre.

    Non era intenzionata ad avere altre noie, per quel giorno, evidentemente.
    La cosa lo rilassò e, al contempo, lo insospettì ancora di più: "una mezzo-fammin ben addestrata...".

    Strinse la mano della ragazzina nuovamente, come per calmarla da quel nuovo spavento che le aveva mozzato la risposta alla sua domanda in gola.
    Non poteva inseguire la donna incappucciata per le ferite e per la "giovane zavorra" che si stava trascinando dietro e, comunque, probabilmente non aveva senso farlo: si sarebbe solo cacciato in guai più grossi di lui.
    Che, tuttavia, lo allettavano molto di più, rispetto alla noia che lo aspettava a casa.

    Scosse la testa.
    "Mai lasciare che la poca saggezza possa guidare le azioni."
    Chiuse e riaprì gli occhi un paio di volte, mentre una piccola e flebile sillaba giungeva dalle labbra della locandiera.

    Era un "sì".
    Si voltò verso di lei, stavolta neanche provando a mostrarsi sereno, guardandola con un'espressione tra il severo e lo sgomento: davvero voleva tornare da quel padre violento? A quella vita fatta di molestie e di stenti?
    Ma vedere l'espressione di terrore nei suoi occhi gli ricordò chi aveva davanti: una piccola donna del popolo, che voleva solo vivere la sua vita il più semplicemente possibile.
    Cos'altro poteva aspettarsi?

    Annuì, provando a sorriderle. E le lasciò andare il polso.
    - Andiamo, ormai tutti coloro che avevano voglia di spargere del sangue oggi dovrebbero essere lontani. -
    Per sicurezza, però, fece il giro lungo, tornando sull'entrata principale: non poteva permettere che vedesse il corpo morto di quell'Assassino.

    Edited by .:|ArYa|:. - 23/8/2014, 17:25
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    Kheiyw corse, e corse veloce. Tutto ciò che poteva fare era trovare un luogo dove pulire tutto quel sangue.
    Un materasso...avrei fatto meglio a restare nella foresta anche questa notte.
    Se ciò che l'assassino aveva detto - ovvero che non stava seguendo lei, ma che le era semplicemente capitata davanti - era stata doppiamente stupida. In primo luogo perché non aveva chiesto il motivo per cui si trovava lì: se non seguiva lei, un assassino addestrato come quello, chi cercava?
    In secondo luogo, perché si era fatta riconoscere.
    Aveva rischiato, e per poco non aveva perso.

    Ci mise poco a uscire dalla zona abitata e raggiungere i campi precedenti la foresta. In uno di questi trovò un pozzo quasi asciutto, da cui prelevò un secchio d'acqua, lavandosi alla meno peggio.
    Aveva sentito qualcuno seguirla fin dai vicoli della città. La cosa non la disturbava più di tanto: la sua furia era ancora abbastanza alta, se fosse stato un assassino aveva solo da mostrarsi. Se fosse stato solo un curioso, l'avrebbe probabilmente ugualmente ucciso.
    Indossò nuovamente la mantella, pesante d'acqua e sangue, e prese lo zaino dai manici, senza indossarlo per non bagnare il contenuto; si diresse a passo lento verso gli alberi, attendendo una mossa dal suo avversario.

     
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