La Foresta della Notte Eterna

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  1. ~Brunhild~
         
     
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    Narrato/Parlato/Pensato

    Era strano come solo una Foresta Morta potesse rinfrancare la mia anima; ricordo che anche durante il mio addestramento a volte sgattaiolavo qui in sella al mio Thanathos e passavo ore intere a vagare, rimirando quella che un tempo doveva essere stata una foresta verde e rigogliosa. A volte mi ritrovavo a immaginare come potesse essere stata nel suo periodo più florido, le chiome smeraldine che ondeggiavano ad ogni alito di vento e il sole che penetrava debolmente attraverso la moltitudine di foglie. Eppure non riuscivo ancora a capire perché una persona come me apprezzasse le cose perdute come quella, dopotutto ero ciò che ero, e non me ne vergognavo: uccidevo la gente su commissione, meticolosamente, e ci mettevo tutta me stessa. Era l'unica cosa che avessi mai saputo fare, e che fossero colpevoli o innocenti nessuno di loro mi aveva mai fatto sentire in colpa.
    Eppure sentivo che qualcosa mi stava sfuggendo. A volte stare da sola era talmente opprimente che mi ritrovavo a guardare dentro di me, come Narciso che, osservando la sua immagine riflessa, aveva scoperto sé stesso. Ed era stato proprio scoprire il suo vero Io ad ucciderlo. E forse avrebbbe potuto uccidere anche me.
    Era strano per un'Assassina avere paura della morte; nonostante avessi ucciso molta gente, mi aggrappavo alla vita come ad uno scoglio scivoloso in mezzo al mare. Sembra quasi un paradosso, a pensarci. O forse era solo il mio egoismo, quindi nulla di nuovo.
    Accarezzai la criniera del mio destriero, osservando i rami contorti e privi di vita che mi circondavano; notai con un misto di stupore ed esaltazione che alcuni di quegli arbusti grigi sembravano quasi assumere forme antropomorfe; mi sembrava quasi di sentirmi in compagnia, pensandoci.

     
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    Una bambina, innocente, pura, dai capelli bianchi come la neve e la pelle che pareva quasi cenere, se ne stava tranquilla a giocare di schiena con una bambola; il viso oscurato dalla posa e dall'ombra di una tenda mezza tirata sulla finestra. Dietro di lei Doriana se ne stava in piedi, sulla soglia della porta spalancata ad osservarla interdetta: era quello il suo obbiettivo? L'essere che doveva uccidere? Una bambina? Non si era mai fatta scrupoli per dare la morte a chicchessia, neanche anziani, donne o infanti, ma allora perché, in quel momento, non riusciva a muovere neanche un passo? La lama della sua daga prese a tremare, producendo un ronzio soffuso e metallico, mentre la mascella si stringeva scoperta dall'assenza della sua solita maschera. Che cosa ci faceva lì? Perché? Voleva andarsene, ma non poteva, sapeva di non poterlo fare. Iniziò a sudare freddo, il cuore le batteva a mille, mentre un misto di adrenalina, paura e panico le invadevano ogni più piccolo angolo del suo corpo. Strano davvero, dato che la maledetta non poteva permettersi di provare emozioni. Si guardò la mano ricoperta dall'armatura, tremante, mentre con enorme sorpresa parve accorgersi solo in quel momento che non sentiva la presenza incombente dell'ombra sul suo animo. Allarmata, si guardò attorno, presa dal panico per quella nuova sensazione e, mentre il suo sguardo vagava atterrito, si fermò improvvisamente quando incrociò uno specchio al suo fianco: era lei, era la Doriana Shodaw prima della maledizione. La pelle colorita, i capelli neri come la pece e gli occhi...vivi. Assieme ad ogni suo pensiero, anche il cuore parve bloccarsi per un attimo: ogni suono, ogni presenza parve congelarsi in un sentore ovattato, innaturale, ed in mezzo a quel momento tanto agghiacciante, la piccola prese a canticchiare senza parole un motivetto lento, infantile, che in altri momenti avrebbe portato gioia nel cuore della gente, ma che in quella situazione parve forzato, terribile, angosciante. La donna tornò a guardarla, a rivolgere lo sguardo impietrito verso la sua vittima: questa come se già si fosse accorta da tempo della presenza di Doriana, si voltò lentamente, inesorabile, mostrando il suo volto per la prima volta, il volto dell'Ombra su cui un sorriso, più simile ad uno squarcio, brillava di una luce azzurra, sinistra, come i suoi occhi. "Mia..." sussurrò alla Shodaw che, terrorizzata, osservò la bambola che la mostruosità teneva in mano: lei, era lei, una Doriana in miniatura, fatta di pezza fino all'ultimo dettaglio. Lei era il gioco dell'Ombra. "NOOO!" Gridò la maledetta, sentendosi profondare nel suo stesso grido e negli occhi mostruosi della maledizione.

    Doriana si sveglio dal suo sonno tormentato, senza esprimere neanche una reazione, aprendo semplicemente gli occhi e tirandosi lentamente su dal tronco a cui si era appoggiata. Si massaggiò la testa esasperata da quell'ennesimo incubo che le impedivano ogni volta che dormiva di riposarsi per bene mentre pian piano tornava cosciente nel mondo reale. Erano passati giorni, forse settimane da quando l'Ombra le aveva concesso un sonno profondo e privo di immagini e, se non fosse stato per il fatto che la sua natura di maledetta le permetteva di dormire assai meno degli umani, probabilmente adesso sarebbe stata allo stremo. Si alzò in piedi, quasi a parere un automa, sistemandosi alla bitta e alla schiena le sue armi e guardandosi attorno in cerca di qualcosa di preciso: sangue. Odiava doverlo fare, ma sentiva la forte necessità di saziarsi, di placare la maledizione, dato che l'ultima volta che aveva compiuto quel rituale era stato giorni addietro, prosciugando la vita della sua ultima vittima. Si trovava infatti sulla via del ritorno verso il suo piccolo rifugio, ormai a neanche un giorno di cammino. Attivando in piccola parte la magia che permetteva la fusione tra il suo occhio e quello del demone, affinché potesse vedere meglio al buio, prese a muoversi silente, quasi inesistente, tra quegli alberi morti da tempo e pietrificati dal tempo e dalla magia; se avesse potuto, avrebbe sorriso a quanto quei resti di tronchi e rami le assomigliassero, a quanto fossero vicini alla sua natura. Con la mano nuda accarezzò la corteccia di roccia che le stava accanto, quasi con nostalgia, quasi per pietà, più verso se stessa che per il vegetale ormai morto. Un rumore però destò la sua attenzione, proprio in cima ai rami che le stavano sopra il capo: un uccello, grande quanto un'aquila, se ne stava ad osservarla con un'espressione tra la paura e la curiosità, probabilmente percependo la sua mezza natura. Concedendosi un attimo per scrutarlo a sua volta, la maledetta parve quasi chiedergli scusa muovendo le labbra da cui non uscì che un sospiro, prima di evocare un secondo incantesimo. Un nero tentacolo uscì dal tronco a fianco al volatile, afferrandolo senza dargli scampo e gettandolo con forza verso Doriana che lo afferrò a volo. Questo non poté che gridare un'ultima volta, in maniera disperata, prima che le sue piume iniziassero a farsi grigie, a rinsecchirsi, a farsi quasi di cenere, mentre tutta la sua vita, ogni goccia del suo sangue veniva risucchiata dalle mani della Shodaw i cui occhi e tatuaggi brillavano di un celeste sinistro, temibile. Quando il pasto fu terminato e la maledetta fu sazia, quest'ultima poggio il volatile con delicatezza al suolo, osservandolo un attimo prima di girarsi bruscamente e prendere a camminare per la foresta. Si odiava, si odiava ogni volta che doveva compiere quel gesto a lei necessario, ripudiava se stessa più che mai. Se le fosse stato concesso, avrebbe urlato, si sarebbe ferita, uccisa per quello che l'Ombra la costringeva a fare, ma per obbligo si limitò a mettersi in volto la maschera ed ad allontanarsi dalla scena del delitto, di quell'orribile gesto, placando i suoi sentimenti ed il suo animo. Ora la maledizione era sazia e per lo meno non l'avrebbe infastidita per un po'. Trovando a prima vista la via verso casa, Doriana si inoltrò ulteriormente nella foresta pietrificata come un'ombra tra le ombre, muovendosi sinuosa, lenta, invisibile se non ad occhio - ed orecchio - esperto.
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  3. ~Brunhild~
         
     
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    oG1u805<p align="center">Narrato/Parlato/Pensato

    Attraversando quella foresta mi rendevo conto di quanto il silenzio potesse agitare gli animi; non il mio, certo, ma per una persona normale quel silenzio sarebbe stato disarmante. Per quanto mi riguardava, non avevo mai amato particolarmente i rumori, ero sempre stata una persona silenziosa, e questo era uno dei motivi per cui le azioni furtive mi sembravano meno ardue rispetto ai miei colleghi, soprattutto quelli più "giovani". Ero talmente abituata al silenzio che il mio orecchio percepiva anche rumori poco captabili, infatti spesso più che alla mia vista (anche quella piuttosto acuta, per via del buio eterno) mi affidavo all'udito.
    Fu per questo che mi voltai subito quando un grido strozzato ruppe il silenzio; capii subito che doveva essere il verso di un uccello, forse un rapace; guardai Thanathos e notai che era piuttosto allarmato, come percepisse una presenza poco gradita. Lo spronai con difficoltà a seguire il rumore e lo frenai accanto ad un albero non differente da quelli intorno, per poi scendere. Non mi fu difficile individuare ciò che cercavo: sul terreno, inerme, stava un volatile grande quanto un'aquila, con le ali chiuse, rigido, e le penne tinte di un grigio innaturale, simile a quegli arbusti pietrificati da cui era circondato; mi inginocchiai e lo presi delicatamente tra le mani: non aveva ferite, non sembrava fosse stato strangolato, e quel piumaggio grigio mi convinceva sempre meno. Non riuscivo a capire come potesse essere morto l'animale, ma chi lo aveva fatto doveva essere davvero bravo.
    Sentivo ancora una presenza incombente, come se riuscissi a capire solo ora ciò che aveva sentito il mio ora recalcitrante cavallo; sistemai il cadavere freddo dell'uccello sotto un insieme di radici piuttosto rialzate di un grosso arbusto accanto, poi appoggiai un orecchio sul terreno e percepii distintamente delle vibrazioni, seppure ad un orecchio normale sarebbero sembrate piuttosto lievi. Stabilii una direzione e, dopo averlo rassicurato, montai Thanatos ed iniziai quella specie di ricerca; più che allarmata, ero curiosa di scoprire quale creatura aveva ucciso in quel modo il povero uccello che avevo trovato. Pensai che forse non doveva essere un qualche tipo di predatore, o almeno non originario di questa terra, dato che non avevo mai riscontrato una simile morte in un uccello, e venivo lì spesso; era normale trovarne qualcuno morto di tanto in tanto, ma succedeva solo se giravano grossi rapaci e, data la scarsità di prede in generale e il buio, non ne venivano spesso.

     
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    Il sangue fresco le pompava diretto nelle vene, scaldandole appena il cuore ed il corpo sempre straziato da un gelo maledetto; Doriana assaporava e disgustava allo stesso tempo quella sensazione causata dal recente nutrirsi della vita un rapace. Certo sentire un po' di calore vitale nel corpo le dava piacere, ovvio, ma sapere come l'aveva ottenuto, sapere che l'aveva fatto solo per placare l'Ombra e la sua brama di morte la faceva infuriare, o per lo meno l'avrebbe fatto se la Shodaw non fosse obbligata a non esprimere alcuna emozione ed a provarne poche e solo in piccola parte. Infatti il suo sguardo pareva quasi fissare innanzi a se' il vuoto, semi nascosto dal cappuccio e dalla maschera a lei essenziale, mentre i passi avanzavano lentamente senza provocare alcun rumore. Pareva davvero uno spirito dannato che vagava senza meta tra quelle terre in cerca di una via verso l'aldilà, in cerca della redenzione. Per lei, però, redenzione non ce n'era: dopo aver conosciuto Angelo ed aver avuto dopo molto tempo un vero amico, una persona di cui fidarsi, lo aveva quasi ucciso, cosa che le era stata impedita da forse la più forte maga del Mondo Emerso che le aveva dato una via per la salvezza; ma lei, sciocca com'era stata, presa dalla paura, era fuggita da quella capanna nella Terra del Vento, allontanandosi da lei e dall'unica persona che l'aveva guardata senza paura, che le aveva voluto bene. Era scappata, il più lontano possibile, senza voltasi in dietro, senza guardare in faccia a nessuno, egoista e stupida, dannandosi ancora di più nella sua maledizione. Quanto era stata sciocca, più volte aveva tentato di punirsi per quello, ma l'Ombra glielo impediva fisicamente e mentalmente Doriana aveva capito che non arrivava a nulla, che l'impossibilità di provare sentimenti le impediva anche di soffrire per ciò che aveva fatto. Così, per anni, aveva vagato ed ucciso, assassinato e camminato, senza meta, senza scopo, diventando ancora più distante, glaciale, ancora più un'ombra senza padrone, distaccata dal mondo e chiusa solo in se stessa: un angelo della morte che si nutriva della vita stessa. Da quanto infatti non parlava od interagiva con un altro essere umano, a parte i datori dei lavori e le vittime? Doriana non se lo ricordava neanche più, quasi le pareva di non avere più voce, di non saper più parlare per quanto tempo aveva taciuto. In fondo però, poco le importava, non le interessava più parlare, lei doveva solo fuggire ed uccidere, e sperare prima o poi nella morte; il mondo attorno a lei parlava anche troppo, la sa voce starebbe stata anche lei un'ombra tra le ombre.
    Doriana si bloccò improvvisamente, annullando in un attimo questi pensieri che aleggiavano nella sua mente stanca di quella vita: la voce del mondo le stava parlando proprio in quel momento attraverso piccole vibrazione del suolo che giungevano abbastanza lontane da dietro di lei. Doriana si girò con calma, scrutando nel buio per un attimo per poi inginocchiarsi al suolo per toccarlo con la mano scoperta: qualcuno la stava seguendo, ne era certa, ma chi e quanti erano. Continuando a tenere il palmo la suolo, avvicinò anche l'orecchio esperto, allenato per riconoscere i suoni con decenni di lavoro da assassina: quattro tocchi pesanti, che cambiano andatura lievemente, unici e netti. La donna rimase in ascolto ancora un attimo per poi alzarsi e ripulirsi con calma dalla terra: pareva un cavallo, per nulla lontano, diretto verso la sua direzione. Nessuno si inoltrava tanto dentro alla foresta morta senza uno scopo e ciò la portò a dedurre che forse la stavano seguendo. Tornò a fissare la direzione in cui stava andando precedentemente, pensando che non poteva condurli al suo nascondiglio e che doveva cambiare direzione e portarsi in qualche modo alle sue spalle; oppure, semplicemente sparire. Sospirò appena, assicurandosi bene la maschera al volto e sistemandosi i guanti e i restanti pezzi dell'armatura al loro determinato posto: sperava di non dover combattere, non ne aveva molta voglia, ma se ce ne fosse stato bisogno era pronta. Rimase dunque immobile ancora qualche attimo per capire da che direzione provenisse l'estraneo, spostandosi poi più a sinistra rispetto alla traiettoria del cavaliere ed iniziando ad avanzare svelta ed invisibile verso di lui, attivando il potere dell'Ombra che le permetteva di vedere chiaramente nell'oscurità. Sembrava un predatore in caccia, leggermente china per farsi vedere meno, la mano sulla daga ed il passo impercettibile, come il suo respiro; ogni tanto si fermava e poggiava la mano al suolo per controllare il suo inseguitore e la sua direzione, correggendosi per stargli sempre a lato mentre gli andava incontro. Solo quando percepì che le vibrazioni erano forti abbastanza per annunciare l'imminente incontro, Doriana si fermo a scrutare un attimo l'oscurità per capire la sua posizione, per poi appiattirsi sempre di più dietro un grosso albero deforme, sparendo nella sua ombra e nelle pieghe della corteccia, immobile, intangibile, inesistente, con il respirò che quasi si era fermato. Rimase dunque così impercettibile, paziente ed in attesa che l'inseguitore la passasse per poi prenderlo da dietro.
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    Mi tirai più giù il cappuccio, tornando poi con la testa chinata sull'orecchio di Thanatos; cercavo di calmarlo e contemporaneamente di convincerlo a seguire ciò che gli provocava tanta agitazione parlandogli a voce bassissima, cosicché solo lui potesse sentirmi, quasi cantilenando le parole. Era difficile da comprendere persino per me, ma forse quel grosso destriero era l'unico essere che sembrava meritare qualcosa di più di semplice rispetto da parte mia. Era difficile per me elaborare quella sensazione, ma il profondo attaccamento che avevo nei suoi confronti lo rendeva qualcosa di più di un semplice cavallo. Ovviamente, semmai gli fosse successo qualcosa, contavo di superare la cosa il più rapidamente possibile, era solo un animale dopotutto. Però mi rasserenava l'idea di poter contare sempre su di lui per viaggiare, sia in quanto a mezzo di trasporto che a compagnia.
    Non sentii il bisogno di scendere dalla sella per cercare di captare le vibrazioni del terreno, poiché la crescente ansia che proveniva dal corpo del mio destriero sembrava decisamente più indicativa.
    La mia curiosità cresceva esponenzialmente con l'accelerare del battito del cuore della mia cavalcatura; non avevo mai avuto a che fare con nulla di simile prima d'ora, era la mia esperienza in quanto a cadaveri a suggerirlo. Quel modo di uccidere così efficace dava l'idea di una qualche potente magia, come se chiunque avesse ucciso quel volatile si fosse limitato a succhiare via la vita dal suo corpo in ogni senso, incluso il colore del suo piumaggio, perché mai avrei potuto pensare che esistesse un uccello le cui piume avessero un colore ed un aspetto così freddo. Non mi interessava, ovviamente, imparare ad uccidere in quel modo, semplicemente l'idea che esistesse un essere dotato di simili capacità stuzzicava il mio lato scientifico, per così dire.
    Ad un certo punto, Thanatos iniziò seriamente a cercare di sfuggire al mio controllo; lo fermai con un deciso colpo di tallone sul fianco, sicura di non avergli fatto troppo male di avergli fatto afferarre il concetto, poi scesi dalla sua groppa, per permettergli di calmarsi. Dovevamo essere molto prossimi, sembrava parecchio instabile; probabilmente, se non avesse avuto così tanta paura anche della mia reazione, sarebbe schizzato via in un baleno.

     
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    Doriana se ne stava nell'ombra immobile, quasi immersa in quel tronco di cui sembrava far parte; il respiro inudibile, la presenza inafferrabile. Attendeva con pazienza, senza fretta, come decenni di pratica da assassina le avevano insegnato; sapeva che la sua preda era lì vicina, ne sentiva l'arrivo, le vibrazioni al suolo sempre più forti. Le erano ormai accanto, quando però queste, fattesi sempre più nervose, scalpitarono improvvisamente e poi si placarono; doveva essere sicuramente un cavallo poiché gli animali, a differenza degli uomini, percepivano la presenza della donna molto distintamente, o per lo meno la presenza dell'Ombra e, saggi come gli umani non saranno mai, cercavano di darsi alla fuga. Evidentemente però, il suo cavaliere non si era lasciato intimorire ed esperto aveva subito placato il destriero con fare sicuro ed autoritario, tanto che la bestia non si mosse poi di un sol passo. Doriana però poco se ne importò e, con un gesto lento e curato, si sporse leggermente dal tronco per cercare di osservare il nemico: una donna incappucciata si trovava a pochi metri da lei, vestita con un'armatura all'apparenza resistente, ma che non la impediva nei movimenti. Perfettamente mascherata nelle ombre, lo sguardo attento ed il passo felpato, esperto, tutti elementi che portarono al Shodaw a dedurre che si trattasse di un'assassino. Il problema però era quanto fosse brava, se davvero poteva ritenerla una minaccia per lei o meno. Combattevano sullo stesso campo, in fondo e, se fosse stata abbastanza abile, forse le abilità di rendersi invisibile di Doriana non sarebbero servite a molto: un assassino è addestrato a vivere nell'ombra e a vedere non solo con gli occhi, ma con tutti i sensi. Inoltre il piano che la dannata aveva pensato aveva avuto il piccolo intoppo del fatto che il nemico si era fermato esattamente alla sua stessa altezza, non superandola e quindi impossibilitandola colpirla alle spalle. Solo un contrattempo e la donna pensò veloce a come risolvere la faccenda; non le interessava ucciderla, non voleva farlo senza una ragione, voleva solo capire cosa voleva e nel caso sparire. Era infatti stanca, terribilmente, di tutto quel sangue sulle sue mani, di ciò che l'Ombra l'aveva portata ad essere: una portatrice di morte a pagamento, una mietitrice di vita per sopravvivenza. Trent'anni a vivere così, se vivere si possa dire, aveva infatti portato la maledetta ad odiarsi talmente tanto da arrendersi allo scorrere del tempo, cosa che ormai non le apparteneva più. Tutto cambiava di fronte a lei, ogni cosa, ma Doriana rimaneva sempre uguale, sempre un mostro che si nutriva di sangue; aveva abbandonato il suo unico amico, aveva sputato in faccia alla salvezza per pura paura, si era condannata con le sue stesse mani. La sua arroganza umana, quando era giovane, il suo prendere la vita così alla leggera senza riguardi per nessuno, era stata la sua rovina ed adesso, che non possedeva più una vera e propria esistenza, ne sentiva la mancanza con lo stesso dolore di mille coltelli nella sua carne. Eppure, non le era concesso versare una lacrima, urlare né tantomeno morire. L'Ombra la teneva incatenata in quel mondo di sofferenza senza lasciarle scampo o tregua e Doriana, sebbene non lo avrebbe mai ammesso, aveva finito per attaccarvisi talmente tanto da esservi annullata completamente nell'animo; solo un'ultima piccola fiamma di speranza, che forse era più terrore, le impediva di arrendersi alla maledizione completamente e quindi vagare in quello limbo di inesistenza ed esistenza, in un attimo eterno ed infrangibile a cui la Shodaw si era lasciata andare completamente. Annientata, ormai non faceva altro che uccidere su commissione, senza però badare all'incasso, ma più che altro per abitudine, perché non le era rimasto nulla, non era capace in nient'altro. Sfruttando dunque quell'esperienza che tale lavoro le aveva dato, analizzò la situazione e si decise sul da farsi: si assicurò la maschera al volto ed il cappuccio sul capo, afferrò un paio di pugnali da lancio dalla cintura e svelò la sua presenza staccandosi dall'albero con una corsa incredibilmente veloce, quasi fosse una gettata di vento. Lanciò le lame, una che colpì di striscio la coscia del cavallo ed un altro che mancò per un soffio il viso dell'assassina; un tiro che pareva sbagliato, scoordinato ed avventato, ma invece ben calcolato dalla maledetta che col primo sperava di spaventare la bestia per farla scappare e col secondo attirare l'attenzione del nemico affinché la seguisse. Infatti senza fermarsi, continuò a correre tra gli alberi, facendosi scorgere, ma attenta a non farsi prendere. Appariva e scompariva tra gli alberi neri rendendo la sua figura effettivamente inafferrabile, fino a fermarsi ad uno che stava a pochi metri dalla sua preda; lasciò che il suo profilo si scorgesse qualche attimo, come ad invitarla, prima di sparire nell'ombra. Sparì però veramente, non solo si mascherò nelle tenebre; aprì infatti un portale in cui solo lei poteva entrare, una di quelle porte, che la sua natura gli concedeva, per quella dimensione tra il mondo dei vivi e quello dei demoni e delle anime. Questo non procurò nessun rumore, come al suo solito, e Doriana vi ci entrò senza indugio, conscia che il tempo per starvici era maggiorato dal fatto che si era nutrita da poco; non aveva però intenzione di starci per molto, odiava quel posto poiché le rendeva visibile ciò che aveva dentro l'anima.

    Appena il portale si chiuse alle sue spalle, Doriana vide un numero spropositato di spiriti, abbondanti in quella zona morta, notarla e sporgersi verso di lei curiosi: bramavano la sua parte di anima ancora umana, spaventati però dall'Ombra che ora pareva uscirle dalla schiena dolorosamente, prima come una bolla enorme di liquido nero e poi con le sembianze del mostro. Un lungo taglio azzurro sul volto come sorriso e due fori luminosi come occhi, i quali si posarono su colei che la ospitava; non disse nulla, ma la maledetta percepì orribilmente la brava che la maledizione provava nei suoi confronti. Senza perdere tempo, quindi, si orientò in quella foresta che ora era veramente nera, gli alberi e qualsiasi altra forma delineata solo dal pulsare di contorni bianchi, quasi a rendere tutto fantasmi; ogni cosa si muoveva di fronte a lei con una lentezza innaturale, quasi forzata. Anche l'assassina che le stava a pochi metri pareva il ricordo rallentato di quella che era nel mondo dei vivi; con una camminata tranquilla la Shodaw le andò di fronte, la osservò per un attimo nei lineamenti non ben definiti in quel mondo, le girò intorno sfiorandola con disinteresse e solo dopo questi lunghi attimi, decise di colpire, di prenderla alle spalle come aveva pensato fin dall'inizio. Estrasse la naginata da sotto il mantello e l'assemblò veloce e precisa, aprendo poi un'ulteriore portale a qualche spanna dall'assassina; un nero buco al suolo nel quale la maledetta sprofondò senza timore od emozione.

    Doriana apparve come dal nulla alle spalle dell'assassina, senza alcun rumore, senza alcun segnale che ne potesse far percepire l'arrivo; senza perdere tempo, la dannata puntò la lama della sua arma contro la donna, che sarebbe stata libera di girarsi se voleva, ma comunque tenuta apparentemente sotto scacco. "Perché mi stai seguendo?" Il tono della voce era piatto, freddo, distaccato e quasi disinteressato, distorto leggermente dalla maschera che copriva la parte inferiore del volto; sotto il cappuccio il bagliore azzurro degli occhi si spense come luce di una candela che muore, ultima testimonianza della magia demoniaca appena utilizzata.

    Edited by Carminia Von Dorian - 16/12/2014, 17:35
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    Nissa Revane | Guardia Suprema della Gilda degli Assassini | Outfit
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    Voltò la testa di scatto, come un serpente, quando Doriana si staccò dall'albero, prendendo a correre ad una velocità inumana; rimase così, in sospensione, a guardare uno dei coltelli da lancio che volava a pochi millimetri dal suo viso, senza battere ciglio.
    Non si sentiva in pericolo, per ora. Finché all'essere andava di giocare, confidava che la sua vita non era davvero in pericolo. Thanathos, invece, si sollevò su due zampe, imbizzarrito dopo che la lama del secondo coltello colpito di striscio la sua coscia; Nissa lasciò andare le redini, impegnata com'era ad osservare la Shodaw, e il galoppo sempre più lontano del suo destriero non riuscì minimamente a distrarla. Se non l'avesse ritrovato, come abbiamo già detto, se ne sarebbe fatta velocemente una ragione, non era che un cavallo.
    L'assassina si slanciò con prontezza all'inseguimento della creatura; stavano ancora giocando, le due serve della morte, il sorriso che si era dipinto sul volto di Nissa ne era la prova. Non era una preda come le altre, se ne rendeva conto: se Doriana avesse voluto evitare che la seguisse non si sarebbe dovuta sforzare più di tanto, d'altronde solo poco prima aveva avuto bisogno dell'aiuto di un cavallo per trovarla. Le abilità di elusione di quell'essere andavano oltre ogni addestramento, anche il più ferreo.
    La corsa improvvisamente si fermò; l'essere mostrò il suo profilo, come un invito a seguirla ancora, poi sparì di nuovo, letteralmente. Se c'era qualcosa che un'assassino della Gilda riusciva a percepire perfettamente era la solitudine; era una sensazione particolare, che Nissa conosceva molto bene e nella quale si sentiva molto a suo agio.
    Durò poco meno di un respiro, poi la lama della Shodaw arrivò dove nessun'altra arma, nemmeno la più temeraria, era mai riuscita a spingersi. Era inevitabile, la Revane non faticava ad accettarlo; non aveva avvertito assolutamente nulla, nessun segnale che avrebbe potuto avvisarla della ricomparsa dell'essere. La cosa forse avrebbe dovuto spaventarla o farla arrabbiare, invece semplicemente la donna abbozzò un sorriso compiaciuto, per ora invisibile a Doriana giacché Nissa ancora non si era mossa minimamente.

    "Curiosità."

    Replicò l'assassina, atona.

    "Sei la prima persona che riesce a tenere una lama così vicina al mio collo senza che sia dipeso dalla mia volontà, e non lo dico per vantarmi."

    Continuò, con una nota di macabro compiacimento nella voce. Era fiera delle sue capacità, fiera quanto lo può essere una persona tanto sadica da consacrare la sua esistenza all'omicidio volontariamente. Quel tipo di capacità che tanto potevano disgustare Doriana, Nissa riusciva ad apprezzarle sinceramente, come forse solo pochi altri facevano.

    "C'è qualche possibilità che si possa parlare senza quell'arma di mezzo? Strano a dirsi ma non è mia intenzione essere una minaccia, per quanto dubito di poter riuscire a sfiorarti senza fare la fine di quel volatile."




    Edited by ¬Nekoth - 31/5/2016, 19:41
     
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    Da uno Scherzo Bacato di Dio

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    La sua avversaria lasciò fuggire il destriero e cominciò a giocare con la Shadow, inseguendola sapendo già che non l'avrebbe catturata. Parevano quasi due bambine, lanciarsi divertite in una corsa tra vecchi alberi, correndosi appresso, ma senza la voglia vera di prendersi; solo che i vecchi alberi erano tronchi scheletrici, morti da anni, così come i cuori delle due nere assassine che si cacciavano, una fingendosi preda e l'altra fingendosi predatrice. Un gioco strano, quasi inquietante nel suo voler prendere tempo. Finalmente poi Doriana si fermò e scomparì, lasciando da sola l'altra assassina che si gustò quel momento di solitudine prima che la maledetta le apparisse dalle spalle puntandole una lama contro. Una domanda più che dovuta, una risposta fin troppo sincera che che portò la maledetta a rendere ancora più salda la presa sulla naginata, avvicinandola appena alla nuca della donna ancora di spalle. Di persone incuriosite dal suo essere ne aveva già incontrate nella sua vita e non erano stati momenti piacevoli: da pazzi maghi che volevano impossessarsi dell'Ombra, a dolci streghe che volevano salvare la sua anima maledetta recidendola dal nero verme che si portava appresso. Entrambi avevano fallito, entrambi si erano dimostrati incapaci di separare Doriana dalla sua maledizione, per un motivo o l'altro, tanto da far credere alla Shodaw che forse oramai per loro era tardi, che il suo destino sarebbe stato convivere per sempre con l'Ombra fino ad esserne completamente assorbita. Un giorno la maledizione l'avrebbe divorata, le avrebbe distrutto le carni e mangiato l'anima, un'anima marcia, macchiata di sangue secco. Un'anima molto simile a quella che percepiva avere di fronte a lei, tenendola sotto scacco con la lama della naginata: macchiata di morte e distruzione, priva di ogni coscienza, però stranamente soddisfatta, felice. Come, avendo alle spalle una tale scia di dolore e strazio, la donna poteva sembrare così serena, quasi compiaciuta. Ora la curiosità era reciproca, ma Doriana non aveva alcuna intenzione di lasciarsi prendere da tale sensazione, soprattutto abituata com'era ad annullare ogni sentimento.
    Ascoltò in silenzio le parole della donna, senza esprimere o pensare nulla in particolare; stava anche allentando la presa sull'arma convinta sempre di più che si trattasse di un altra commissione per un omicidio. Quando però udì del volatile che si era lasciata dietro, quello a cui aveva letteralmente risucchiato la vita dal corpo, tornò a farsi attenta e rigida, alzando nuovamente la naginata. "Girati." Fu la sola risposta di Doriana. Lo avrebbe ripetuto se la donna avesse esitato e non si sarebbe mossa o altro finché il suo ordine non fosse stato esaudito; voleva vedere quella donna in volto, voleva esserle di fronte e coglierne le espressioni. La osservò per un attimo, capendo dall'atteggiamento del corpo che davvero non voleva essere una minaccia. Rimase in silenzio lunghi attimi, poi Doriana ammorbidì le spalle e ritrasse la naginata, portandola al suo fianco; la lama verso il nero cielo e il fondo che batté un solo colpo al suolo che provocò un piccolo eco nella vuota foresta. Non era una minaccia, non lo sembrava: certo la Shadow sapeva riconoscere un nemico valente quando se lo trovava di fronte, probabilmente l'avrebbe messa in seria difficoltà, ma non poteva sconfiggere lei, l'Ombra. Nessuno poteva. "Cosa vuoi, assassina?" Doriana non sapeva se era della Setta o indipendente come lei, ma il passo silente, le movenze, le armi che si portava appresso e l'abbigliamento sotto cui si nascondeva rendevano chiaro il suo mestiere, la sua natura; non sapeva se era indipendente come lei o se appartenesse alla Setta, ma sicuramente pareva decisamente in gamba.
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    Nissa Revane | Guardia Suprema della Gilda degli Assassini | Outfit
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    Prevedibilmente, la risposta secca di Nissa non riscosse molto successo. L'Assassina trattenne un ghigno divertito: per qualche motivo, sembrava renderla genuinamente ilare l'idea che una persona dalle tali capacità potesse mostrare un tale riserbo riguardo alla sua natura nonostante la sua mancanza di accortezza nel lasciare il cadavere del povero volatile en plein air.
    Non esitò ad eseguire l'ordine della Shodaw: non è che volesse allisciarsela o che, semplicemente non aveva la minima idea di quali fossero i limiti umorali di quella donna, nel dubbio meglio non rischiare ed assecondarla il più possibile. Dopo che l'altra le ebbe finalmente tolto quella benedetta lama dalla gola, si voltò verso di lei e fece un passo indietro, più per una questione di spazi personali che altro. La prima cosa che notò era che, fisicamente, Doriana non sembrava questa grande minaccia: ad occhio poteva dire che era più bassa di lei di almeno una decina di centimetri e sebbene probabilmente avesse almeno un minimo di atleticità, non sembrava per niente il tipo di persona che si sottoponeva ad allenamenti duri e massacranti come si faceva alla Setta. Eppure, al contempo, la sua interlocutrice le dava la netta impressione che avrebbe potuto eguagliarla se non superarla anche solo fisicamente, senza usare il suo trucchetto. In conclusione, era disumana sotto ogni punto di vista, quasi certamente.
    Inclinò appena la testa alla domanda di Doriana, inchiodando gli occhi di un grigio spettrale sul volto della maledetta.

    "Non lo so ancora, in realtà."

    Iniziò, sincera, anche se era difficile indovinarlo dato il modo ambiguo e privo di emozioni con cui si esprimeva di solito.

    "Quello che so è che mi interessi molto. Vedi, nel mio ambiente uccidere è un'arte in piena regola, quindi capirai che vedere ciò di cui sei capace ha stuzzicato... la mia sensibilità artistica, diciamo così."

    Incrociò le braccia sotto al petto, curiosa di sapere come avrebbe reagito la Shodaw a quell'affermazione: Nissa era perfettamente conscia di essere una persona dal codice morale deprecabile agli occhi dei più, capiva persino il perché la gran parte della gente avesse paura ad abbandonarsi alle sensazioni di onnipotenza da cui la donna si lasciava inebriare giornalmente disponendo di questa vita o quell'altra, rimaneva solo di capire a che gruppo appartensse la sua affascinante e mostruosa interlocutrice del momento.
     
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