Non è il sangue a rendere tale una famiglia...è la testardaggine.

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    Da uno Scherzo Bacato di Dio

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    L'ennesimo malloppo di fogli vene sbattuto esasperatamente su di una larga scrivania disordinata, dove già altre carte se ne stavano ammassate assieme a penne sporche di inchiostro, pezzi di armatura, tomi, mappe, pugnali da lancio ed un boccale di birra ormai vuoto. Carminia, stanca di quella maledetta burocrazia a cui il suo ruolo la obbligava, si gettò scompostamente sullo schienale della sedia mentre un ciuffo di capelli le cadeva sulla fronte; sbuffò sonoramente, sia per l'esasperazione sia per rimettere a posto l'acconciatura - se tale si poteva definire la sua massa di ricci capelli lasciati liberi sul capo - si sistiracchiò tutta, facendo scricchiolare sia le ossa che la cota di maglia dell'armatura leggera che indossava per il lavoro. Lavoro? Quella era una tortura bella e buona! Maledizione, se avesse saputo che fare il Supremo Generale era così noioso e colmo di scartoffie mai avrebbe accettato, ma si sarebbe tenuta il suo grado di maggiore e avrebbe continuato con la sua bella vita: l'avevano fregata! Per enfatizzare questa sua convinzione, come se ci fosse qualcuno ad assistere in quel momento, increspò le labbra e batté il pugno sulla scrivania di legno massiccio, senza troppa forza però. Nonostante la delicatezza usata, una delle sue daghe, appoggiate in verticale al mobile, tremò appena e cadde con un rumore secco e metallico, incredibilmente fastidioso ed assordante nel silenzio dell'ufficio della Von Dorian; senza troppa voglia, quest'ultima si chinò a raccoglierla, senza però alzarsi dalla poltrona e quindi piegandosi e tirandosi scomodamente. Stava per rimetterla al suo posto quando si fermò un attimo per osservarla quasi in maniera nostalgica: da quanto non la usava, usava per davvero? Certo, nonostante il tempo scarso, Carminia si cimentava ogni giorno in diverse ore di allenamento per tenersi in forma e non arrugginirsi, soprattutto poiché invecchiata; da quanto però non scendeva su di un vero campo di battaglia? Non affrontava il nemico in sella a Sarah, il suo drago? Non provava il brivido del non sapere se mai sarebbe tornata a casa per cena o sarebbe morta per quello in cui credeva? Già, morire, proprio questo era il problema per cui lei era rilegata a Makrat, oltre ovviamente una quantità incredibile di scartoffie da compilare od approvare: lei non doveva morire, non doveva mettersi in pericolo poiché rappresentava una delle figure più importanti della Terra del Sole e forse di tutto il Mondo Emerso. Stronzate! Ecco cos'erano per lei! Stronzate! Lei era una combattente, una guerriera che aveva giurato di difendere tutti dalle minacce di quelle ombre che, malefiche, cercavano di portare il caos tra i regni. Era un soldato innanzitutto! Generale o meno, Supremo o no, gradi o mica gradi! Lei sarebbe dovuta essere sul campo di battaglia coi suoi cavalieri, guidarli contro il nemico, dar loro la forza e l'esempio, proteggerli, non starsene in panciolle su di una poltrona a guardare il mondo che cambiava e andava in malora attraverso documenti, scartoffie e mappe! "Eh che cazzo!" concluse a gran voce scattando in piedi dalla sedia e trangugiando l'ultimo sorso di birra rimasto nel boccale di ceramica. Doveva uscire da quella maledetta stanza, ora, in quel momento, o sarebbe impazzita, o avrebbe tradito i suoi soldati e lo stesso ruolo che ricopriva. Si diresse quindi di gran passo verso una statua di legno dai lineamenti femminili appena accennati, usata come manichino su cui riporre la sua armatura; si allacciò dunque gli spallacci con foga, i parastinchi, gli avambracci e tutto il resto, indossando al completo la sua armatura leggera (vedi scheda) senza però le ginocchiere, l'elmo e la parte del petto. Quindi tornò alla scrivania e si mise in vita la cintura con le sue daghe e qualche coltello da lancio. Proprio in quel momento, però, pesanti colpi batterono sulla porta dell'ufficio ed una voce maschile parlò. "Generale Von Dorian." Gettando la testa all'indietro in maniera scocciata, lanciò un sospiro. "Siiiii? Avanti che è aperto!" Seguendo l'invito, un uomo alto, dal fisico asciutto ma decisamente muscoloso, fece la sua apparsa sulla soglia con un'armatura ocra e svariate pergamene sottobraccio; una scompigliata chioma di mossi capelli rossi incorniciava un viso slanciato ma deciso, costellato da piacevoli lentiggini, e due occhi di un verde acceso, vispi e profondi che guardarono interdetti la donna. "Generale, le ho portat...ma cosa...?" Non fece però in tempo a terminare la frase che la Von Dorian gli andò incontro a grandi passi con un sorriso a tutto tondo in faccia, interrompendolo. "Carota, vecchio mio! - lo accolse con una sonora pacca sulle spalle - Quante volte ti devo pregare di chiamarmi come al solito! Generale è troppo pomposo, non mi piace." L'uomo, vecchio compagno di battaglie di Carminia, entrati nello stesso periodo in accademia, non si fece troppo scombussolare la postura dal gesto dell'amica e ricambiò il sorriso. "Ma che ti piaccia o no, è quello che sei ora - la guardò un attimo, scuotendo il capo poi divertito - e chi lo avrebbe mai detto che proprio tu, incubo di tutti i superiori ed istruttori, testa calda e scavezzacollo saresti diventata Generale Supremo...io non ci avrei scommesso un centesimo, giuro!" La donna lo osservò un attimo interdetta, per poi scoppiare a ridere sonoramente. Pacho Malcar, ecco il vero nome di quel cavaliere: quando si erano conosciuti non era altro che un ragazzo mingherlino, timido ed impacciato, che arrossiva appena lo si guardava. Era stata proprio Carminia a battezzarlo come Carota per via dei suoi capelli più di venti anni prima, quando si erano incontrati ad uno dei loro prima allenamenti; da allora si erano coperti le spalle a vicenda, si erano aiutati ed erano diventati grandi amici, inseparabili nell'animo. E come lei, anche Pacho aveva fatto carriera, diventando un illustre cavaliere ed ora il suo braccio destro nel ruolo di Generale supremo. "E chi lo avrebbe detto che tu saresti diventato un cavaliere! - ribatté - Per di più così affascinante. Tempo fa alle mie parole avresti risposto con mugugni sussurrati, annuendo ed arrossendo tutto..." passò il dito in maniera sensuale sul suo petto, salendo fino al mento ruvido per la barba corta e ben curata. Carota si irrigidì un attimo, scacciando poi con falsa disinvoltura la mano della Von Dorian dal volto e muovendosi verso la scrivania, cercando di nascondere il rossore appena accennato. "Proprio in questo modo! Vedi, in fondo siamo sempre gli stessi, no?" Ridacchiò soddisfatta e divertita dall'essere riuscita ad infastidire l'amico in maniera giocosa. Seguendolo, lo sorpassò e si lasciò cadere sulla poltrona. "No Ka, adesso io sono più alto di te e tu sei ancora più stupida di quando ci siamo conosciuti." Sorrise mentre si appoggiava con i fianchi al tavolo ed incrociava le braccia. Carminia si mise le mani sul petto, sospirando con falsa sofferenza e gettando il capo all'indietro. "Ah! Carota! Queste tue parole mi feriscono profondamente!" Pacho non poté trattenere una risata sincera che mise un punto a quello scambio di amichevoli frecciatine, tornando quindi agli affari seri. "Comunque, mi spieghi che stavi facendo Ka?" Già temeva la risposta dell'amica, data la sua natura scavezzacollo e le malsane idee che spesso le balenavano in testa. La donna in tutta risposta scattò in piedi e finì di sistemarsi le daghe alla vita. "Me ne sto andando da questo dannato ufficio, ovvio! Non ne posso più di star qua! Che se le parole feriscono più della spada, sicuro le scartoffie ti ammazzano di noia - l'uomo stava per replicare, ma venne bloccato da un gesto della mano di Carminia che si frappose fra loro a palmo aperto, decisa a stroncare ogni replica sul nascere - Bababa! Zitto! Risparmiami! Inoltre mi sento così inutile! Un generale supremo dovrebbe essere un soldato, non un soprammobile sepolto dalla carta, anzi, cartaccia! - afferrò un paio di fogli e li agitò di fronte all'amico freneticamente - due ore per compilare un ordine di salviette per il sudore! Insomma: le abbiamo sempre prese, sempre la stessa quantità, sempre dallo stesso sarto! Non basterebbe un foglietto con scritto ciao bello! Il solito, grazie! Se lo dico alla locanda mi capiscono al volo, non hanno bisogni di tutti questi dannati fogli." Carota si portò esasperato la mano alla fronte, massaggiandosela lentamente, cercando di placare la voglia di schiaffeggiare l'esuberante amica, a cui ormai era abituato: in fondo Carminia era sempre stata così e cambiarla era impossibile, testarda com'era. "Ka, questo è il tuo lavoro adesso, sei Generale Supremo!" La donna lasciò cadere le spalle, stanca di sentire quella frase che Pacho le ripeteva fino allo sfinimento, come fosse - ed in fondo lo era - la voce della sua coscienza, il suo grillo parlante; sbuffò vistosamente scuotendo il capo e fissando poi le scartoffie sulla scrivania e l'amico. Solo allora le balenò in testa una soluzione che le disegnò un sorriso in volto. "No, adesso è anche il tuo. Ti promuovo ad aiuto-consigliere-schiavetto del Generale Supremo! Congratulazioni! - prese la mano dell'amico, complimentandosi mentre questo la fissava in maniera spiazzata, cercando le parole per replicare - Susu! Non posso fare tutto da sola, no? Allora, io direi che le scartoffie ce le dividiamo 70% tu e 30% io, ok! Così io potrò riprendere a fare i test di ammissione e magari qualche ronda! Perfetto!" Tutta emozionata da quell'idea, si avvolse intorno alle spalle uno sgualcito drappo di tessuto rosso, tipica sua decorazione sulle armature, pronta per uscire finalmente da quel maledetto ufficio. "Ma...ma...ma...non puoi Ka!" La donna, che già aveva attraversato la stanza a grandi passi, fino alla larga finestra che dava sulla dorata Makrta, si fermò un attimo e si girò con un sorriso vittorioso sul volto. "Certo che posso, adesso sono Generale Supremo, ricordi?" E facendogli l'occhiolino, spalancò i vetri e saltò giù dal davanzale, agile nonostante l'età; Pacho corse verso l'apertura e la guardò scivolare sui tetti dell'accademia ed allontanarsi sempre più. "Maledetta!" Ringhiò, incerto su cosa fare; infine chinò il capo rassegnato e si sedette alla scrivania, srotolando le pergamene da lui stesso portato. In quel momento qualcuno bussò la porta e, dopo aver ricevuto il permesso dal cavaliere, un vecchio tutto in tiro, con una lunga barba bianca che compensata alla testa pelata, entrò nell'ufficio con un'incredibile pila di fogli costretti in equilibrio da legacci di cuoio. L'uomo dai rossi capelli, incastrato in quella situazione, lanciò un ringhio rassegnato accasciando la testa sul piano della scrivania. "Maggiore Malcar! - esclamò il vecchio sorpreso e perplesso - Dov'è il Generale Von Dorian?" L'unica risposta che ottenne fu il brusco alzarsi del braccio di Pacho per indicare la finestra spalancata, oltre la quale le vie e gli edifici di Makrat si snodavano fino all'orizzonte e tra i quali Carminia passeggiava entusiasta, respirando a pieni polmoni la tanto bramata libertà.

    Edited by Carminia Von Dorian - 16/9/2013, 04:26
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    Narrato - "Parlato" - Pensato - "Parlato altrui"

    Un colpo, due colpi, tre colpi. Mia madre avrebbe saputo farlo meglio, pensava Charlotte davanti l'uomo che martellava sull'incudine quel minuto pezzo di metallo, ...e molto più velocemente...
    "Perchè vuoi fare il meccanico, hai detto?" "Si guadagna bene" mentì lei con facilità, infilando senza farsi vedere due monete in tasca dal borsellino vicino al suo didietro; "Spero tu non indenda rubarmi anche questo" sentenziò lo gnomo barbuto, infilando il suo nuovo aggeggio in un catino d'acqua; la ragazza mise su la sua espressione disdegnosa e offesa: "RUBARMI? Di' vecchio, hai grossi problemi di memoria, eh? Oppure sei così disonesto che fai finta di non ricordare mia madre che viene a pagarti gli attrezzi, per avere di più, mh? Dammi qua!" Prese dall'acqua l'asta di metallo ricurva e gli sbattè - letteralmente - in mano i due spicci. "Questa è l'ultima volta che mi vedi" sentenziò, e andò via a testa alta - ma di gran carriera. Lo gnomo, troppo sorpreso del suo atteggiamento, ci mise un po' a realizzare che lei le aveva dato più di quanto non avesse mai chiesto, ma di certo se avesse saputo che i soldi che intascava erano già i suoi sarebbe stato ben meno allegro.
    Nella tasca di Charlotte di soldi ce ne stavano, ma erano pochi e amavano farsi compagnia l'un l'altro invece si soffrire la solitudine, vicino ad altre monete sconosciute che non le rivolgevano la parola. La ragazza non era tirchia, solo sapeva dove poteva permettersi di rubacchiare e dove no; e poi le dispiaceva pensare che ogni volta che pagava privava i suoi soldi di un fratello o una sorella.
    Si era sempre chiesta perché sua madre preferisse fare una sorta di fame piuttosto che creare soldi falsi. Avrebbe benissimo potuto farlo - tanto già lavorava in nero, per essere, dato che la sua abitazione non era registrata al catasto - quindi, illegale per illegale, meglio illegale furbo che illegale scemo.
    Ma non capiva se i suoi genitori erano troppo onesti o troppo stupidi. Sua madre aveva talento da vendere, una grande immaginazione nonché forza; certo, si ritrovava una gamba in meno, ma constatando che a quarant'anni ne dimostrava poco più della metà - cazzo - perché rinchiudersi in un rifugio ai piedi di un vulcano? E suo padre - Dei - aveva un fisico che faceva invidia ai colleghi di sua zia Carminia. Perché diavolo si era abbassato a fare il taglialegna? Anche lui tenendolo nascosto, oltretutto. Non sono scemi: sono pazzi!
    "Ehi, Gewenste!"
    Qualcuno urlava il suo nome? Charlotte si girò con nonchalance, vedendo una guardia appoggiata alla sua picca che la salutava. "Ah, Hunthor" rispose lei, avvicinandosi. Non si era resa conto che camminando sovrappensiero era giunta alle porte dell'Accademia. Chissà zia Carminia cosa sta facendo...
    "Dove andavi così di fretta" le fece l'occhiolino la guardia; lei si appoggiò al muro del cancello che lui sorvegliava, tenendosi vaga "Da nessuna parte, girovagavo un po' così...e poi non andavo di fretta" ridacchiò stupidamente. Ecco una preda facile facile pensò maliziosa.
    Hunthor era un ragazzo sulla ventina, sfacciato ma ancora immaturo, che aveva avuto quel posto grazie a un suo zio Cavaliere. In realtà lui aveva tentato di entrare all'Accademia, ma era stato sbattuto fuori alla prova pratica probabilmente proprio da Carminia, anche se Charlotte non gliel'aveva mai chiesto, né, alla fine, le interessava. Era un ragazzo un po' incapace che odiava lavorare e faceva il pettegolo con le comari di Makrat, flirtando con le ragazzine - come faceva con lei da un po' - e nonostante il bel viso e i capelli come l'oro Charlotte non lo trovava chissà quanto attraente. Certo, era un bel ragazzo, ma uno di quelli a cui piace giocare, e vincere.
    Con la differenza che con lei non sarebbe stato lui a uscirne vincitore. Che sia la volta che mi faccio qualche soldino facile? Quel ragazzo aveva così l'aria da spaccone che sicuramente andava in giro con una borsa molto pesante e tintinnante, sarebbe bastato organizzare un appuntamento e fregargli tutto ciò che aveva - tranne le mutande, che sicuramente sarebbero state difficili da rivendere. L'unica cosa che la tratteneva era che conosceva il suo nome; o meglio il nome che utilizzava a Makrat da quando era arrivata, ovvero un paio di mesi.
    Ma in quel momento, qualcosa la trattenne. Come una gazza immediatamente attirata dal brillare di un gioiello abbandona ciò che sta facendo per impossessarsene, Charlotte fece un saluto veloce alla guardia e scappò via verso un uomo che aveva intravisto. "Ci si becca, Hunthor"
    Percorse velocemente le vie di Makrat fino a giungere alla piazza, gremita di gente e caos. Lui era lì, su un palchetto, con le sue torce in mano e la faccia sfregiata da diverse cicatrici.
    Come si accorse di lei le sorrise, come se l'avesse riconosciuta - cosa comunque difficile, dato che il mangiafuoco dava spettacolo solo una volta ogni due settimane e c'era sempre il pienone di gente. La Charlotte-dalla-mano-lunga sfiorò con le dita l'apertura del borsellino di quello accanto a lui e, senza guardare, tirò fuori una monetina. Fece finta di averla presa dalla propria tasca e la rigirò tra le mani; era un pezzo grosso, che raramente sarebbe passato inosservato. Lo mise in tasca e lanciò una moneta di minor calibro al girovago, scappando poi via giusto in tempo perché l'uomo l'additasse gridando al ladro.
    Questa volta l'ho combinata grossa! Pensò la ragazzina con un sorriso felice sulle labbra. Girò in diversi cunicoli e, nel mentre, legava i capelli. Arrivata in un percorso tortuoso tolse il vestito rosso che teneva sulle spalle, restando solo in canotta e pantaloncini, l'appallottolò e ficcò nel tascapane, tirando fuori, per far spazio, un cappello con la visiera nera che infilò prontamente sui capelli raccolti. Girato l'ennesimo angolo rallentò l'andatura e si fermò a una bancarella. "Quelle erbe quanto le fa?" chiese nello stesso momento in cui un gruppetto di uomini la sorpassava "Quella è belladonna ragazza, non penso proprio di potertela vendere. E non usare la scusa che ti manda un grande, sono rinomata perché nella mia bottega vendo solo ai grandi"
    Charlotte mise il bronciò, ringraziò e andò via, sbattendo mentre si girava sulla schiena di qualcuno. L'unica cosa che notò furono gli spallacci di un'armatura, ma solo dopo aver sbottato un: "Ahi, attento, diamine!"

     
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    Libertà! Bramata libertà! Carminia ci si gongolava come una bambina in un paese di balocchi e dolciumi, camminando con passo allegro e spensierato per le vie di Makrat; ogni tanto qualcuno la riconosceva e si inchinava, le guardie la guardavano sorpresa e si mettevano sull'attenti, con tanto impeto da far tremare il terreno, ma tutti venivano salutati allo stesso modo dalla donna che sorrideva felice ed agitava la mano come fossero suoi vecchi conoscenti. In fondo, anche se adesso era una delle persone più illustri ed importanti di quella città, la Von Dorian seguiva a mantenere il suo temperamento spensierato, privo di ogni altezzosità, continuando a non dare troppa importanza alle classi sociali ed ai ranghi; lei era così e lo sarebbe rimasta per tutta la sua vita, sorridendo e ridacchiando fino al suo ultimo respiro. Chissà quanto mancava a quel momento? Carminia non era una ossessionata dal pensiero della morte, anzi, ci pensava con serenità, quasi con curiosità infantile, e spesso cercava di azzardare su come se ne sarebbe andata da quel mondo: in battaglia? Quasi ci sperava! In una rissa? Na! Era troppo brava a fare a pugni? Nel suo ufficio schiacciata dalla noia e dalle scartoffie? Probabile. Chissà, magari sarebbe arrivata ad una veneranda età e, così, da un giorno all'altro non si sarebbe più svegliata, rimanendo per sempre con gli occhi chiusi ed un sorriso beffardo sul volto. Pensare che quando era più giovane, quando viveva per la strada o con Ratif, anche i primo anni nell'accademia non si sarebbe neanche immaginata di arrivare ai quaranta, terrorizzata dall'invecchiare, diventare inutile, un peso per tutti: gobba, pelata e rimbambita. Invece eccola là! Raggiante e spensierata come vent'anni e più prima, all'alba dei suoi trentasei anni; certo nel combattere percepiva di più la fatica, ma era comunque sempre agile e letale se lo desiderava. Mentre pensava a queste cose, un luccichio al suo fianco catturo la sua attenzione, facendo la fermare bruscamente davanti ad una bancarella di gioielli forse non raffinati, ma senz'altro per lei stupendi; si fissò soprattutto su di una collana vistosa, enorme e piene di particolari, proprio come lei amava. Notando il suo interesse verso l'oggetto, la mercante le si avvicinò con un sorriso amichevole. "Benvenuta guerriera! Posso aiutarla? - la salutò con una voce convincente, sobbalzando però sorpresa quando la Von Dorian alzò il capo dal gioiello, svelandosi - oh! Accidenti! Mia signora, vaglia perdonarmi Generale Supremo! Non l'avevo riconosciuta!" E per rimediare alla sua offesa, si inchinò quanto da quasi toccarsi le ginocchia con la fronte; Carminia sospirò ed agito la mano ringranandola con un sorriso. "Su! Non hai ucciso mica nessuno! Lascia perdere e dammi del tu che sono già troppo vecchia di mio. Comunque quanto costa questa collana? Mi piace un sacco!" La donna, turbata ed incredula da quelle parole, si riscosse e ritrovò il suo sorriso da venditore, correndo a mostrargliela e a porgergliela con delicatezza. "Ma certo! Una magnifica scelta! È un pezzo proveniente dalle zone del deserto, completamente in argento e ferro battuto, nonché decorato con pietre opache di varie famiglie. Per lei..aehm...per te, mia signora, è senza prezzo, un dono dalla madre di un Cavaliere che senza di lei non avrebbe avuto possibilità di entrare all'accademia! Questo è il mio ringraziamento!" Carminia la guardò per un attimo interdetta a quelle parole, sorridendo poi un tutta risposta e puntando in faccia la collana alla mercante. "Sciocchezze, signora! Se suo figlio è entrato nell'ordine dei Cavalieri di Drago era perché se lo meritava, punto! Dunque, quanto viene la collana? Se non me lo dici ti lascerò lo stesso i soldi, quindi vedi te!" La signora, minacciata metaforicamente dalla collana a pochi centimetri dal suo naso, non seppe cosa rispondere e quindi svelò rassegnata il prezzo dell'oggetto, con infinita gratitudine verso il Generale. Questa, mentre aspettava che il gioiello venisse impacchettato, notò un piercing per labbra, a spirale e che terminava ai capi con due sfere verde acceso; particolarità era che il colore pareva scivolare dalle palline e sfumare lungo l'asta fino a scomparire. Senza pensarci su, afferrò pure quello e lo aggiunse all'acquisto. "Anche questo, per piacere. Credo che piacerà a quella scema di mia nipote da mettere al labbro!" La commerciante annuì con un sorriso e quindi ripose il gioiello in un sacchettino più piccolo. "Non sapevo lei avesse una nipote..." disse mentre porgeva la merce alla cliente e prendeva i soldi. Carminia parve pensarci un attimo su, infilando l'acquisto in una piccola sacca di cuoio della cintura. "Uhm...non è proprio mia nipote, diciamo. È più una zuccona che mi è piombata tra le braccia. Ecco!" E con queste parole, ringraziò la signora e riprese la propria strada fiera del suo acquisto. Sua nipote, eh? Essi, anche se non c'erano legami di sangue lei per prima si definiva la zia di quella scavezzacollo di Charlotte, la figlia di Fihim e Fenrir, suoi cari amici che ne avevano davvero passate troppe, soprattuto a causa di quello che per Carminia era forse il suo acerrimo rivale: Airon Drovan, detto l'orso di ferro. La donna al sol pensare il nome si incupì e perse tutto l'entusiasmo dato da quella spensierata passeggiata, ancor più quando rivide nella sua memoria quello che quel mostro aveva fatto a Fihim e la sua famiglia, a come il fratello di Charlotte era stato portato via per mera crudeltà. Mai più! Dovesse lasciarci le penne, ma mai più avrebbe permesso che una cosa del genere accadesse ai suoi amici! Non era stata in grado di fronteggiare il mostro in passato, ma ora era tutto diverso. Avrebbe protetto lei Charlotte, a tutti costi, anche se la nipote; per sua fortuna, quella ragazzina sembrava abbastanza scantata da cavarsela da sola, anche se detto di lei covava troppa rabbia. In fondo, però, anche Carminia era stata così in passato, arrabbiata, impertinente ed imprudente come la nipote; allo che non aveva alle spalle una zia che le teneva testa in testardaggine e stronzate, per non parlare poi di quant'era figa, tosta e simpatica! Ridacchiando ai suoi stessi complimenti, ritrovò il buon amore mentre girava l'angolo di una via minore, finendo in una piccola piazzetta che, se non ricordava male, era non molto lontana dall'accademia. Accidenti! Doveva allontanarsi alla scelta prima che qualcuno la incastrasse, riportando la di nuovo alle scartoffie. Chiudendosi tra le spalle quasi per scomparire, si gettò tra la folla che circondava un abile artista di strada, tanto bravo da catturare la sua attenzione; si fermò un attimo per godersi lo spettacolo, quando però qualcosa la costrinse a spalancare la bocca in maniera sorpresa: sua nipote era li, tra quel pubblico intenta a borseggiare l'artista stesso. Troppo lenta, troppo azzardata, troppi spettatori ed in un attimo si scatenò il pandemonio per la ladra appena individuata. "Stupida ragazzina! Quella ha dei pesci ubriachi al posto del cervello!" Disse la Von Dorian, approfittando della confusione e seguendo di corsa le guardie partite all'inserimento; ma dopo qualche svicolo, capì che queste avevano già perso la nipote e che stavano correndo alla cavolo convinti di arrivare da qualche parte. Inchiodando e guardando si attorno, Carminia vide una figura di sfuggita dentro un vicolo e decise quindi di seguire il suo istinto e quella sagoma intravista; con una corretta silenziosa, attraverso la stradina e sbucò su di una via principale, piena di gente e bancarelle varie. Con un'occhiata veloce identificò una ragazza vestita diversamente da come era charlotte, ma della stessa altezza e con quella dannata camminata che il generale avrebbe riconosciuto in capo al mondo, la stessa di Fihim. Con passo deciso, ma senza farsi notare, la segui fino ad una bancarella di erbe varie, alla quale la ragazza su fermò per qualche motivo; così, la Von Dorian le si mise di fianco con nonchalance finché la nipote, nell'andarsene, non finì col muso contro il suo petto. Sorridendo nel riceve l'ennesimo esempio del pessimo temperamento della giovane verso chiunque, aspetto che la guardasse in faccia e la riconoscesse. "Ciao Gwen! Sempre a metterti nei guai, eh?" E senza spiegazioni o preavviso, le asseto un pugno sul capo, non forte da farle davvero male, ma per lo meno da scombussolare i pesci ubriachi che vi nuotavano dentro. Fatto ciò, come niente fosse successo, si ricolse alla commerciante che le guardava interdetta. "Io sono grande, dunque potrei avere un po' di belladonna? O qualcosa di forte?" E la vecchia, ancora stordita da prima, si riscosse a quella richiesta improvvisa ed annui incerta, consegnando un pacchettino a Carminia e prendendo i soldi. "Grazie mille!" Ringraziò il cavaliere con un sorriso prima di lanciare il sacchettino tra le mani della nipote ed incamminarsi per la via, ovviamente costringendo la giovane a seguirla con un sol gesto del capo. Dopo qualche metro, la donna sospirò guardando charlotte e scuotendo il capo. "Ma guarda te! Mi prendo un pomeriggio libero e lo passo ad inseguirti per le strade! Come hai potuto, Gwen? Come, prima in quella piazza...- il viso serio e lo sguardo di rimprovero della zia si aprirono pian piano in un divertito sorriso che tratteneva una risatina - ...come hai potuto farti beccare il quel modo così misero? Giuro che era uno dei borseggi peggiori che io abbia mai visto! Ti dovrò insegnare qualche trucchetto per forza, se no che fine farà la mia reputazione con una nipote così?" E dandole una pacca sulla testa, se la strinse al fianco in maniera affettuosa, per poi liberarla dalla morsa forse fastidiosa per lei.
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    Narrato - "Parlato" - Pensato - "Parlato altrui"

    "Ciao Gwen! Sempre a metterti nei guai, eh?"
    Charlotte spalancò per un momento le labbra, guardando Carminia con un sopracciglio alzato. E questa che cavolo ci fa... BAM.
    Se non fosse stata abbastanza rigida sulle gambe probabilmente sarebbe caduta in ginocchio; non le aveva certo fatto male, ma la botta era ben assestata e la lasciò intontita per qualche attimo. Qualcuno - probabilmente la zia - le schiaffò in mano un sacchettino e iniziò a camminare. Lei, beh, lei non poteva far altro che seguirla, no? In ogni caso non solo si sentiva più al sicuro - cosa che a lei non avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura - se la Von Dorian era in giro, ma quella donna era quasi tanto testa di cazzo quanto lei. E la cosa le piaceva. A volte pensava che in realtà fosse lei sua madre, ma c'erano troppi dettagli - purtroppo - che non combaciavano. "Ma guarda te! Mi prendo un pomeriggio libero e lo passo ad inseguirti per le strade! Come hai potuto, Gwen? Come, prima in quella piazza...come hai potuto farti beccare il quel modo così misero? Giuro che era uno dei borseggi peggiori che io abbia mai visto! Ti dovrò insegnare qualche trucchetto per forza, se no che fine farà la mia reputazione con una nipote così?"
    "Quell'artista era bravo" rispose la ragazza, proferendo parola per la prima volta, "Non avevo abbastanza soldi per pagarlo in modo decente, quel mercante dietro di me ne aveva anche troppi. Sono solo stata sfortunata."
    "Va beeene. Abbiamo capito che la carriera da Robin Hood non fa per me"
    concluse poi con un mezzo sorriso. "Come mai sei in giro, Generale? Vai a recuperare qualcuno personalmente?" Poi, vedendo il sacchettino che la zia teneva in mano, piegò la testa e l'indicò. Stava per parlare, quando, ricordandosi, si fermò di botto imprecando e si tastò in giro per le tasche...finché non trovò con un sospiro lo strano attrezzo ricurvo che si era fatta fare dal fabbro qualche ora prima. Lo mostrò a Carminia - mentre continuavano a camminare - chiedendo: "Secondo te come dovrei chiamarlo?"
    Era una sbarra piatta che, a metà lunghezza, formava una deviazione, tornando poi dritta. Al terminale superiore il metallo si apriva, formando una sorta di ansa che sembrava fatta apposta per afferrare qualcosa. Con un meccanismo legato a un filo di ferro sotto la sbarra le due estremità dell'ansa si muovevano, allargandola o stringendola.
    In effetti, non sapeva ancora a cosa potesse servirle, ma le era sembrata un'idea geniale fare un attrezzo di quel genere.
    E la prossima volta glielo dico a mamma, anche a costo di averlo un mese dopo l'ordine. Almeno me lo fa gratis e di qualità certamente migliore...

     
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    Carminia camminava a passo allegro, seguita a ruota dalla nipote ancora intenta a riprendersi dalla botta poco prima ricevuta. Mentre le parlava, la osservava con la coda dell'occhio e rifletteva a quanto loro due fossero simili: teste di cacca entrambe, scapestrate, troppo furbe per quella società in cui si distinguevano per stile ed atteggiamento. Per un attimo, Carminia si scoprì a rivedere in Charlotte una piccola lei del passato, desiderosa di indipendenza, fuggita di casa e col cuore che apparteneva alla strada, all'avventura; solo che Gwen, a differenza sua, covava dentro di se' una rabbia ed una frustrazione per la sua storia che la Von Dorian forse aveva provato solo quando Ratif le era stato portato via. Già, Ratif, quanto le mancava: avrebbe tanto voluto che lui fosse lì con loro, in quel momento, a riprendere la piccola testa calda ed a sorprendersi di come invece quella più grande, nonostante fosse rimasta sempre una capocciona ribelle, avesse raggiunto livelli e risultati che nessuno si aspettava. Già se le immaginava le sue parole: Ma guarda te! Hanno messo una pazza esagitata come Generale! Ma dove andremo a finire di questo passo! E come poco prima, avrebbe assestato un pugno dritto in testa a Carminia. Quel pensiero la fece sorridere per un attimo, soprattutto per l'assonanza tra il suo padre adottivo e la figura che lei era diventata per Charlotte; infatti se questa era una piccola Carminia, lei doveva essere una specie di Ratif al femminile. Senza un motivo apparente, il cavaliere scoppiò a ridere a quell'idea, immaginandosi lei con le fattezze del padre: una scena raccapricciante poiché quello era un omone enorme, peloso e sempre sudaticcio. Tornando quindi a rivolgere la sua attenzione alla nipote, ne ascoltò le parole, sospirando e ficcandosi le mani in tasca con rassegnazione. "Certo, certo Gwen, è solo sfortuna... - e alle parole che seguirono sorrise, dandole una spintarella con la spella - Ecco, esatto! Il primo passo è riconoscerlo. Vedrò di darti qualche lezione, ladruncola da quattro soldi. Se no quella che perde la faccia sono io!" Ridacchiò nel pungolare la nipote dalla poca pazienza, come era solita fare per vedere il broncio che avrebbe messo su e quindi buttarla sul ridere. In fondo, mai l'avrebbe offesa dal vero, mai avrebbe fatto qualcosa che l'avesse potuta ferire - se non per il suo bene, s'intende - dato che era troppo affezionata a quella nipote ritrovatasi per le mani improvvisamente. Non che ciò le desse fastidio, anzi: sin da quando era nata e dopo quello che era successo a suo fratello, Carminia aveva provato da subito un moto di protezione verso quella bambina tanto sfortunata, soprattutto per via del legame che la Von Dorian aveva con i genitori di Gwen; e quando le avevano chiesto di tenerla con se', di crescerla e di occuparsi di lei, il giovane generale non aveva potuto che sorridere all'idea di mettersi tra i piedi quella giovane scapestrata, sperando che questo l'aiutasse a calmare la sua rabbia e l'avesse aiutata a trovare una strada. Tutti avevano bisogno di qualcuno: lei aveva avuto Ratif, ora Charlotte aveva lei e...anche se forse non l'avrebbe mai ammesso, Carminia sentiva di aver bisogno di Gwen. Scosse le spalle, un po' per quel pensiero, un po' in risposta alla domanda della nipote. "Naa! Avevo solo voglia di uscire da quel maledetto ufficio: non hai idea di che noia sia essere Generale. Son più le scartoffie che devo compilare che le spade. Mi sono presa un giorno libero scappando dalla finestra, tutto qua - poi sorrise con atteggiamento maligno ed in maniera fulminea strinse la nipote in un abbraccio esagerato - e lo passerò tutto con te! Felice? Ci faremo i capelli assieme, andremo a fare compere e chiacchiereremo davanti ad una tazza di the al gelsomino!" Ovviamente stava mentendo, ma era curiosa della reazione della nipote. Questa, dopo essersi staccata dall'irruento gesto d'affetto della zia, parve come ricordarsi di qualcosa ed estrasse da tascapane un aggeggio di metallo, porgendolo alla Von Dorian. Questa se lo rigirò tra le mani con aria stranita, cercando di capirne lo scopo; come poteva dargli un nome senza neanche sapere che diavolo fosse. "Ahm...Ma che diavolo è? - lo avvicinò alla faccia con espressione quasi ebete, restituendolo poi a Gwen - Scommetto che è un prendi uovo...Ecco! Spranga ricurva pinzante afferra uova! SPRPAU! sì, Sprpau mi piace! No?" E scoppiando a ridere diede una sonora pacca alla giovane, tanto forte quasi da farle cadere l'oggetto dalle mani; sospirò, asciugandosi una lacrimuccia fasulla, mettendo poi le mani incrociate dietro la nuca e guardando vero il cielo sereno. "Non c'è niente da fare, sei tale e quale a tua madre! Voi ed i vostri aggeggi strambi!" Si accorse di quello che aveva detto solo dopo aver aperto bocca: sebbene Fihim e Charlotte si volessero bene, nessuna delle due lo avrebbe detto apertamente, preferendo prendersi a capocciate metaforiche e letterarie. Quindi associare così la piccola alla madre da cui si era allontanata avrebbe potuto far incupire La Blanche. Schiarendosi la voce, la donna si apprestò a correre ai ripari, estraendo dalla cintura un sacchettino piccolino e porgendolo alla nipote. "Quasi dimenticavo! Ti ho preso un regalo...ma non so se te lo meriti! Con la figuraccia di oggi!" Quindi le fece l'occhiolino e le lanciò il pensiero nelle mani, continuando a camminare tranquillamente per le vie di Makrat.
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    Narrato - "Parlato" - Pensato - "Parlato altrui"

    "Mi sono presa un giorno libero scappando dalla finestra, tutto qua e lo passerò tutto con te! Felice? Ci faremo i capelli assieme, andremo a fare compere e chiacchiereremo davanti ad una tazza di the al gelsomino!" Afferrò la ragazza con una morsa di ferro invidiabile (e che lei invidiava parecchio, tutt'ossa com'era) abbracciandola. Dal canto suo, Gewenste stava imparando a comprendere e capire quella pazza che sembrava soffrire di crisi di identità, quella adolescente che si era trovata troppo presto in quel corpo da adulta, con responsabilità da adulta sulle spalle e la costrizione all'immobilità - a suo parere la cosa che la faceva soffrire di più, in quel contesto.
    Dopo averlo trovato, Charlotte diede alla zia l'aggeggio. Una mezza idea per il nome ce l'aveva: fissa rotule. Ovviamente per rotule intendeva quella sorta di bulloni che aveva progettato - e poi fatto fare - il mese scorso, rendendosi poi conto che per i luoghi dove andavano infilate non bastava una semplice chiave per stringerle. Ci voleva qualcosa di più, ed il fissa rotule era perfetto.
    "hm...Ma che diavolo è? Scommetto che è un prendi uovo...Ecco! Spranga ricurva pinzante afferra uova! SPRAU! sì, Sprau mi piace! No?"
    "Sì, anche io pensavo di chiamarlo fissa ro...." si fermò. Letteralmente. Spostò lentamente lo sguardo su Carminia con espressione che era una via di mezzo tra quella che si fa per dire "ma sei scemo?" lo sgomento e lo scandalizzato. Lei l'afferrò ridendo dandole una possente e sonora pacca sulle spalle, asciugandosi una lacrimuccia spuntata all'angolo dell'occhio per la troppa ilarità.
    "Non c'è niente da fare, sei tale e quale a tua madre! Voi ed i vostri aggeggi strambi!"
    Una folla di sentimenti l'invase l'anima. Tecnicamente era per sua madre che si trovava lì a Makrat. Si era resa conto di non averla mai conosciuta davvero, ma una parte di lei era ancora convinta che ciò fosse accaduto perché era stata proprio la madre a non voler mai condividere questo suo lato con la figlia. "Ti ho lasciato libera, come tu avresti desiderato. Libera da un passato che non meritavi fosse il tuo", le aveva detto la mattina della partenza, prima che suo padre la trasportasse giù a valle, dove il drago della Von Dorian l'aspettava.
    "Abbi cura di te, La Blanche" aveva aggiunto, prima che si alzassero in volo, e da allora i giorni erano passati in fretta, anche troppa, e lei stava ancora soltanto progettando. Per carità, non sentiva particolarmente la mancanza della Terra del Fuoco e delle sue facilmente impressionabili genti, ma ritrovarsi in quella assoluta libertà che Carminia le lasciava da un giorno all'altro l'aveva prima stordita, poi impegnata fino allo sfinimento.
    Il suo volto aveva assunto un'espressione che poteva sembrare dura, ma che era semplicemente pensierosa: le sopracciglia aggrottate, due rughe parallele sulla fronte, la mascella solida e gli occhi che fissavano un punto sperduto nel nulla. Ma all'improvviso, i suoi lineamenti si ammorbidirono e un sorriso le si affacciò sulle labbra, rincarato dal pacchetto che il Generale Supremo le aveva dato. "Quasi dimenticavo! Ti ho preso un regalo...ma non so se te lo meriti! Con la figuraccia di oggi!"
    Generale Supremo! Quella...cosa lì! Era così orgogliosa di quella donna, un po' pazza, dal grande cuore e che si era fatta da sola, ma, sopratutto...
    "Ho bisogno di qualcosa di forte, garantisci tu per me? Portami da qualche parte a distruggermi l'animo!"
    ...raramente rifiutava la proposta di una corposa bevuta.
    Avrebbero avuto tutto il tempo necessario il pomeriggio per vomitare l'anima e digerire la sbornia...sopratutto lei, che a differenza della madre - o forse proprio come lei - reggeva ben poco l'alcol.

     
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    Maledizione alla sua testaccia che spesso, anche troppo, si scollegava con la bocca lasciandola andare a libero sfogo. Vide l'espressione l'entusiasmo della nipote spegnersi come una candela colpita improvvisamente da un soffio di vento. Il viso da triste si fece duro, corrucciato, pensieroso mandando per un attimo Carminia nel panico: certo lei amava Charlotte come fosse sua figlia, ma era troppo scapestrata per fare la madre; per di più le sue esperienze familiari non l'aiutavano certo in campo d'istinto materno. Rimase in silenzio per pensati attimi mentre la sua testa si riempiva di possibili soluzioni per distrarre la giovane, anche se dentro di se' sapeva che non era possibile: anche la Von Dorian era passata per quei momenti, dove bastava semplicemente un ricordo o che qualcuno le nominasse la sua famiglia perché lei si incupisse, sbottasse improvvisamente o si nascondesse dietro ad una maschera di risa. Per quanto tempo aveva nascosto anche il suo cognome, rinnegandolo e fuggendo da esso come da un fantasma che la perseguitava. Le ci erano voluti quasi trent'anni, una carriera militare e l'esempio di un grande uomo come Ratif perché questo suo spettro svanisse assieme ai suoi genitori. Sperava solo che la piccola, per alcune cose più scantata di lei, non dovesse aspettare tanto e soffrire quanto la Von Dorian aveva sofferto, che da quest'ultima avrebbe preso esempio e lezione per farcela meglio ed in maniera meno sofferta e, soprattutto con meno sbagli. Oddio, non che Carminia non volesse che sbagliasse, perdiana! Le migliori cose le eran successe spesso per sbaglio, ma anche le peggiori cose; sperava solo che la piccola avrebbe avuto un goccio di ritegno in più rispetto a quello che aveva avuto lei. Intanto, sin da quando Fihim gliel'aveva affidata, aveva giurato di proteggerla, avere cura di lei, lasciarla si sbagliare ma per poi cercare di farle capire qual era la strada giusta; sarebbe stata per Charlotte quello che Ratif era stato per lei. Decisa in questa sua convinzione, scacciò il panico materno e le lanciò in sacchettino che le aveva comprato e si sollevò nel vedere come il volto della giovane si rilassò, allargandosi poi in un sorriso; la Von Dorian la osservò un attimo, distogliendo poi lo sguardo e allargando a sua volta le labbra in un sorriso orgoglioso, sereno, molto distante dal suo solito ghigno esagerato e pieno di ironia. Il suo cuore parve perdere un colpo, ma senza fatica, senza rimpianto, senza dolore, quasi l'avesse donato alla figlioccia. Forse non era poi così sulla stessa brutta strada che aveva percorso anche Carminia alla sua età: lei infatti avrebbe reagito molto peggio, scappando o iniziando a scherzarci su pesantemente, soffrendo dentro e ridendo fuori. Forse per la sua Gwen la vita aveva portato qualcosa di più nella zucca bacata che si ritrovava per testa, forse…Tutto quell'orgoglio, quella speranza si infransero per un attimo come mille piatti gettati a terra - o per lo meno a Carminia parve di sentirli - trasformando il sorriso della donna in un'espressione sorpresa, ebete, un po' arrossata. Le aveva appena proposto da farle da garante per andare a bere a quell'ora del giorno? Maledizione! No, Gwen era proprio tale quale a lei e ne avrebbe prese di testate nella sua vita, ma la Von Dorian sarebbe stata sempre là, pronta per darle un ulteriore scappellotto e chiederle se aveva capito la lezione, nonché per poi offrirle da bere. Il Generale scoppiò senza preavviso in una sonora risata, danti un pugnetto sul capo della nipote. "Stupida ragazzina che non sei altro! Andiamo!" La strinse a se' col braccio per un attimo, dirigendosi poi sulle vie di Makrat, diretta alle locande migliori della città: quelle nei bassi fondi. Camminarono evitando le strade principali fino a che gli edifici da perfetti e dorati si faceva o ocra e malmessi; Carminia mentre camminava si guardava in giro con dispiacere, notando come tutte le grandi città avevano sempre una seconda faccia nascosta per vergogna o scomodità; per fortuna da quando era diventata Generale ed aveva raggiunto un ruolo di una certa importanza ed influenza, era riuscita ad approvare un piano di aiuto per la gente di quel posto: renderlo più sicuro con pattuglie più frequenti, mense gratuite, distribuzione settimanale di alcuni beni e donazioni varie. Non lo faceva per fama o per altro, ma perché sapeva quanto quei posti potessero essere crudeli, sporchi e pieni di mostri dietro gli angoli. I soldati che incrociarono si inchinarono al Generale, mentre le persone che la riconoscevano correvano a salutarla e ringraziarla, abituati dalla stessa Von Dorian a lasciare da parte i titoli perché, in fondo, lei era una di loro. Terminato dunque di salutare una famiglia che la ringraziò per gli abiti per il figlio, Carminia girò l'angolo per trovarsi di fronte alla locanda più logora, malmessa, malfamata e buona di tutto Makrat, o per lo meno a suo parere: il cieco asino zoppo. Ottimo nome dato che quando uscivi da lì eri talmente tanto ubriaco da non riuscire a stare in piedi, ragliando ed andando a sbattere contro i pali e le persone. Un cieco asino zoppo. "Eccoci arrivate Gwen! Come richiesto - la portò alla porta e gliela aprì, inchinandosi appena e prendendola in giro - prima le signorine." Davanti a lei si palesava uno stanzone di legno e pietra, dai colori spenti e logori, pieno affollato di tavolini fin troppo popolati per l'ora che era, anche se, in fondo, non è mai troppo presto per bere. Loschi individui, o semplicemente gente rozza e qualche prostituta che aveva iniziato presto il turno, se ne stavano a mangiare e trangugiare birra ed alcolici vari ridendo e parlando a gran voce di tante cose, rendendo così l'atmosfera calda, viva, piena, difficile da trovare nelle locande della Makrat benestante. Carminia respirò a pieni polmoni quella leggera puzza di sudore, carne, birra e sporco, sentendosi a casa e piena di vigore. Finalmente la giornata cominciava a raddrizzarsi: addio alle scartoffie e benvenuta alla bevuta!
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    Narrato - "Parlato" - Pensato - "Parlato altrui"

    Il grande sorriso del supremo generale si spense così velocemente che, sbattendo le palpebre, Charlotte l'aveva già dimenticato. La ragazza scoppiò a ridere in perfetta sincronia con la zia, accettando di buon grado le nocche premute sulla sua testa.
    "Stupida ragazzina che non sei altro! Andiamo!"
    Ricordò la notte in cui i suoi genitori le raccontarono la loro storia: in quell'occasione di tremende rivelazioni le avevano dato un bicchiere d'acqua. Sua madre teneva un boccale di metallo di qualche mezzo litro, pieno d'alcol, e lei aveva dell'acqua! Certo, aveva meno di quattordici anni allora, però diamine, col senno di poi avrebbe voluto affrontare una nottata come quella con almeno un poco di birra!
    Sua zia Carminia aveva spesso ripetuto di come sua madre disprezzasse la birra servita a Makrat, confrontata a quella della Terra del Fuoco; forse subconsciamente per questo motivo aveva fin da subito scartato malto e luppolo, buttandosi a braccia aperte verso il male più assoluto, l'alcol vero.
    Il percorso non fu particolarmente lungo, ma il paesaggio cambiò gradualmente in modo definitivo, lasciando posto ai sobborghi della capitale della Terra del Sole, tanto ricca nella sua parte centrale quanto crudele in periferia. Lei stessa, scapestrata com'era, evitava di trovarsi in quei luoghi durante la notte; non era di certo una facile preda, ma non avrebbe gradito di esser violentata, uccisa e derubata, tutto in una sola ora, magari.
    Visti di giorno, quei luoghi, erano fatiscenti, ma certamente più sicuri. La sua tutrice si fermava ogni paio di passi, a parlare con gli abitanti o a salutare guardie, finché non raggiunsero una delle costruzioni più malmesse dell'intero circondario, con un'insegna pendula dai cardini così arrugginiti da rimanere immobile anche con la tramontana da nord: il Cielo Asino Zoppo.
    In quel luogo aveva visto sua zia toccare il gradino più basso della sua intera esistenza; gradino toccato solitamente diverse volte al mese. Lei, dal canto suo, di solito finiva per ridere così tanto da svenire, per poi svegliarsi dopo un paio di ore e rigurgitare anche ciò che teneva nell'intestino. Ma, nonostante il dolore e il fastidio, era felice dei giorni passati (e da passare!) in quella bettola.
    "Eccoci arrivate Gwen! Come richiesto!" disse sua zia, aprendo la porta della taverna. Quindi il Generale Supremo di Makrat si inchinò e, facendole cenno d'entrare, disse "prima le signorine!"
    La ragazzina sorrise, si tirò su i pantaloncini e si incamminò a passo marziale all'interno dell'unica stanza che componeva quel piano.
    Vi erano solo una mezza dozzina di tavoli occupati, ubriaconi che bevevano prima che gli fosse finita la sbornia della sera prima, prostitute che si guadagnavano il pane vendendo miele, uomini dallo sguardo truce che si guardavano intorno. Charlotte sorrise ancora di più, prendendo posto sui loro soliti sgabelli, accanto il bancone macchiato di unto, vino scadente e chissà che altro. Si sporse verso il donnone che faceva da barista, rispondendo al suo muso duro indicando con il pollice la zia dietro di sé.
    Lasciò ordinare Carminia e si affidò totalmente nelle sue mani, accettando ciò che sceglieva per lei.
    "Ci sono novità interessanti all'Accademia?" buttò lì, per fare un poco di conversazione. Non che fosse una pettegola o volesse iniziare a fare la spia, ma le piaceva tenersi informata. Magari poteva vendere qualche notizia di poco conto per qualche soldo, che comunque faceva sempre bene. Pensò ai lunghi corridoi dell'Accademia, alle immense stalle dei draghi e all'anonimo ufficio di sua zia, così inadatto a un temperamento come il suo - ma almeno con una finestra, adatta alle sue fughe all'ultimo minuto.
    Ricordò quando, da piccola, le raccontò di come avesse conosciuto i suoi genitori. Era stata abbastanza vaga, ma la cosa che le era rimasta più impressa nel cervello era che, al momento dei congedi, si era buttata da un balcone verso un albero. Cercò di immaginarsela ora, i capelli disordinati e i muscoli pronti, e capì di ammirare molto ciò che aveva fatto della sua vita: aveva seguito la sua libertà.
    Arrivò la loro ordinazione. Senza pensarci troppo, la ragazzina prese il bicchiere e l'alzò verso la zia, declamando a voce bassa: "Ai Cavalieri di Drago di Makrat, e al loro Generale super-figo!"


     
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    Tenendo aperta la porta Carminia guardò la nipote tirarsi ad altezza ascelle i pantaloni per poi camminare in maniera marciale, quasi una marcia; rivedendo in quella scenetta vecchi cavalieri troppo vecchi per combattere, ma troppo tirchi per staccarsi dai loro gradi e dalla relativa paga, continuavano a vagare per i corridoio dell'accademia con quell'esatto passo. Senza trattenersi, Carminia scoppio a ridere grossamente, mollando la porta per mettersi le mani sulla pancia e seguire la giovane verso i loro solito posti. Già tutti gli occhi erano puntati si di loro, certo: una ragazzina che camminava in maniera strana, troppo piccola per bere, ma non in quel posto, ed una donna di mezza età vestita con un'armatura chiaramente di splendida fattura che rideva fino alle lacrime senza badare minimamente al baccano che stava facendo. Alcuni avventori continuarono a fissarle per tutto il tragitto, altro grugnirono o risero, altri ancora, clienti abituali o prostitute della taverna riconobbero la Von Dorian diventata famosa sin da giovane per le bevute, le cantate e le risse che aveva affrontato in quel luogo; un paio di persone, sia donne che uomini, la salutarono in maniera maliziosa poiché aveva avuto dei trascorsi con Carminia su quel piano che la gente per bene non vuole neanche pronunciare, anche se ci pensa continuamente. Ricambiandone un paio, si mise seduta di fianco a Gwen al bancone, notando lo sguardo, anche se grugno era più giusto come termine, che la locandiera aveva lanciato alla nipote. Tirata in ballo da quest'ultima con un gesto della mano, la donna sorrise a tutto tondo. "Dolores carissima! Quanto tempo, come stai bellezza mia? Sei dimagrita per caso? Perché ti vedo così bene!" Lo sguardo torvo del donnone non venne intaccato minimamente dalle parole della Von Dorian, svelando poi con poche parole minacciose il perché di tanta cortesia e belle parole da parte del Generale. "Sei passata due giorni fa, ti sei ubriacata talmente tanto da addormentarti sdraiata sul bancone e quando ti ho svegliata hai cominciato una rissa..." Il sorriso di Carminia scomparve per un attimo sotto un'espressione colpevole, colta sul fatto, anche un po imbarazzato soprattutto perché Charlotte non ne sapeva nulla; si schiarì la voce cercando di riacquistare la sua sicurezza. "Aehm, sicura? Io non lo ricordo...però sai, sono i rischi del mestiere, ogni volta che son stata qui ho sempre vista gente prendersi a pugni, è un po il solito..." La locandiera si appoggio al bancone di fronte alla Von Dorian, chinandosi sopra di lei minacciosamente, interrompendo il suo discorso e costringendola ad arretrare col capo. "Perché sei sempre tu che le fai partire, maledetta mocciosa..." Carminia rimase in silenzio qualche attimo, mentre il donnone le stava a qualche centimetro dal volto con l'espressione di un bulldog non molto amichevole. Con imbarazzo ed una certa voglia di sdrammatizzare, alzo l'indice come se richiedesse la parola. "A proposito di solito...una birra rossa per me e il drink della casa per mia nipote..." Dolores grugnì poi rassegnata andò a eseguire l'ordine: per quanto Carminia fosse un cliente non sempre ottimo, beveva abbastanza per ripagare una serata di locale aperto ed ormai era di casa in quel posto che frequentava fin dall'apprendistato da cavaliere.
    Sospirando sollevata per averla scampata, Carminia si giro verso la nipote quasi ironicamente indignata. "Anni che vengo qua ed ancora Dolores si lamenta di me...prima o poi imparerà ad amarmi! E poi - diede una pacca alla nipote divertita - adesso la mocciosa qua sei tu, al massimo io sono quella strana coi soldi." E scoppiando a ridere si appoggio al bancone per ascoltare la giovane che cercava di fare conversazione. A quella domanda Carminia si fece un attimo diffidente: Charlotte non era né una cortese né da convenevoli, neppure una sciocca. Che stesse cercando qualcosa in particolare? Bah, in fondo che le importava al Generale, lei si fidava ciecamente della nipote e della sua cognizione nel capire cosa si poteva commerciare o no ed a che prezzo, per tutte le parti. Rilassandosi, sbuffo e fece spallette. "Abbastanza noioso, per lo meno il mio lavoro: solo scartoffie, pochi allenamenti e non mi permettono di scendere in battaglia o pattugliare. Non sono posti consoni per il ruolo che ricopro - batté il pugno sul tavolo infastidita - tutte stronzate, solo se li inizio a fare io, anche i vecchi ricconi con armature troppo gonfie sulla pancia devono farlo. Che se ne stiano pure nelle logore e sfondate poltrone!" Ad incitare il discorso arrivarono le bevande ed il brindisi proposto da Charlotte; Carminia rispose con così tanto entusiasmo da portare Dolores a chinarsi di nuovo verso di lei "Non cominciare..." La donna le sorrise annuendo come farebbe una bambina rimproverata, tornando poi alla nipote. "Al generale! -disse con più calma prima di trangugiare un lungo sorso di birra - mh, ma ti dirò una cosa: le cose cambieranno: lascerò le scartoffie a quei pigri dei pancioni ed io farò quel che mi pare! E che diavolo in fondo sono io che comando. Per prima cosa voglio tornare ad allenare, seguire le regole e soprattutto fare i test di ammissione: sono una delle cose più belle ed importanti per i responsabili dell'accademia. Per io resto poi vedremo! Intanto ho appena assunto Carota come mio aiutante." Se non sbagliava, Charlotte aveva già incontrato qualche volta l'amico, ma poteva anche ricordare male; nel caso avrebbe chiesto. "Te invece? Qualche casino su cui dovrei essere aggiornata? E poi cos'era quella strana pinza per uova che mi hai fatto vedere?" Tra gli impegni da Generale e la vita scapestrata che faceva la giovane, le due si vedevano si erano viste poco in quei giorni e Carminia voleva recuperare. Prese un altro profondo sorso di birra, asciugando quello che rimaneva sulle labbra con la mano, in maniera ben poco elegante.
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    Carminia alzò il suo boccale, urlando "Al generale!" - salvo riprendere subito un tono di voce normale a seguito di un'occhiataccia di Dolores.
    Bevve la sua birra e Charlotte non poté fare a meno di pensare di come la sua vita fosse cambiata radicalmente nel giro di qualche mese; prese anche lei il liquido del suo bicchiere e lo sentì fisicamente raggiungere lo stomaco, con quel leggero e piacevole bruciore che solo l'alcol può dare.
    "Mh, ma ti dirò una cosa" riprese la zia, "le cose cambieranno: lascerò le scartoffie a quei pigri dei pancioni ed io farò quel che mi pare! E che diavolo in fondo sono io che comando."
    Charlotte non poté fare a meno di sorridere, appoggiando un gomito al bancone. "Per prima cosa voglio tornare ad allenare, seguire le regole e soprattutto fare i test di ammissione: sono una delle cose più belle ed importanti per i responsabili dell'accademia. Per io resto poi vedremo! Intanto ho appena assunto Carota come mio aiutante."
    Lei annuì comprensiva; sapeva dell'insofferenza di Carminia verso il suo nuovo incarico, ma doveva ammettere che - così come tante persone - si sentiva molto più sicura con lei al comando che qualsiasi altro signorotto. Carminia era imprevedibile e scapestrata, ma era una persona sul cui onore si poteva contare; non avrebbe mai abbandonato nessuno, avrebbe sempre tenuto fede al suo incarico.
    "Te invece? Qualche casino su cui dovrei essere aggiornata? E poi cos'era quella strana pinza per uova che mi hai fatto vedere?"
    Charlotte alzò le spalle, bevendo di nuovo; la zia era sempre un po' sorpresa, un po' confusa, riguardo ciò che creava la sua stupida testolina. "Niente di nuovo, soprattutto niente di così importante da dover richiedere il tuo intervento - o il tuo parere" disse, facendole l'occhiolino. Aspettò che bevesse di nuovo, prima di rispondere all'altra domanda.
    "Un aggeggio per stringere più forte dei bulloni" spiegò semplicemente "Molte macchine oltre ad avere un problema di carburazione si rompono perché i pezzi componibili non puoi fonderli come fai con un'arma. L'unico modo per fissarli è con dei bulloni, soprattutto quando si parla di un qualcosa con funzione dinamica"
    Sua madre si era forgiata da sé la sua gamba di legno e metallo. Sebbene suo padre l'avesse aiutata, Charlotte sapeva che lui aveva messo solo la forza fisica, oltre che una grande dose di buona volontà per sostenere la psiche instabile della moglie per tutti quegli anni. Tecnicamente, la loro figlioletta era a Makrat per trovare un modo per sistemare in modo più definito la gamba meccanica della madre.
    Si reputava a buon punto, soprattutto per quella sera. Finì il suo bicchiere, guardando Carminia angelicamente per farsene ordinare un altro.
    "Stavo pensando che, col tempo, potrei chiedere di esser assunta in qualche fonderia, o meglio in una officina. Non dico che non accetterei di fare il garzone per un poco di tempo, però mi piacerebbe trovare qualcuno che possa capire il mio modo di pensare."
    Si rigirò sulla sedia, scomoda "Sono sicura che qui a Makrat di gente in gamba ce ne sta. Magari conosci qualcuno che mi puoi consigliare?" in un lampo di intuizione, tolse il suo nuovo attrezzo dalla tasca posteriore dei pantaloncini, rigirandoselo tra le dita.
    "Domani ti va se inviamo un messaggio alla mamma?"
    Lo disse improvvisamente, così, come un qualsiasi pensiero che ti passi per la testa. Sospirò, scosse la testa e con un sorriso buttò in gola un altro sorso, perdendosi tra i suoi pensieri.


     
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    Con grandi falcate, Balder attraversava la via principale, trascinandosi dietro un non troppo entusiasta fratello.
    - Eddai Holder, è un momento troppo importante per non andarsi a sbronzare! -

    La serietà e la tristezza che si erano dipinti sul suo volto qualche ora prima, adesso erano già svaniti.
    Era ritornato in sé, se così si poteva dire.

    Teneva il proprio gemello sotto braccio e sorrideva ampiamente a chiunque gli si parasse davanti.
    Infine giunse a un familiare bivio e lo imboccò: era diretto alla taverna.

    - Vedrai che servirà a farci rilassare un... -
    Non riuscì a finire la frase perché una ragazza molto graziosa gli passò accanto.
    In quell'istante mollò il braccio del fratello e fece il verso di seguirla per qualche metro.
    Poi si fermò di botto, scoppiando a ridere in mezzo alla strada, per ritornare affianco al fratello.
    La ragazza non si accorse di nulla.

    - No dai, fratello, scherzavo, stasera sono tutto per te! -
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    A volte si chiedeva se fossero effettivamente parenti.
    Balder lo stava letteralmente strattonando lungo la via principale, non accenndando a volergli mollare il braccio; inizialmente Holder aveva fatto resistenza, ma poi si era rassegnato all'idea che non sarebbe potuto in alcun modo scampare a quella che si prospettava una tortura senza fine.
    Non lo annoiava l'idea di dover passare del tempo col gemello, ovviamente, semplicemente non era la prma volta che si faceva trascinare da lui in qualche taverna e sapeva esattamente cosa sarebbe successo: sarebbe dovuto stare tutto il tempo a guardare il fratello bere, magari cercare di approcciare un'eventuale bella donna che serviva gli alcolici, ma soprattutto avrebbe dovuto fare la badante tutto il tempo, assicurandosi che non cercasse di attaccare bottone con qualche donna già presa o semplicemente non desse inizio a qualche brutta rissa quando la sua testa fosse rimasta annebbiata dai numerosi boccali che sicuramente avrebbe mandato giù. E a proposito di boccali, doveva prepararsi all'eventualità che il gemello lo costringesse a bere e ricordarsi di mettere in fila più "no" possibili.
    Non rispose al fratello, se non tramite un grugnito irritato; non gli sembrava nemmeno l'occasione adatta per andare a sbronzarsi, non che si fosse mai sbronzato completamente; cercava sempre di farsi rimanere abbastanza lucido da poter trascinare via Balder a bevuta conclusa, anche se spesso e volentieri il gemello si era già eclissato da un po' dopo aver trovato buona compagnia.
    La speranza se ne andò con la stessa velocità con cui era arrivata; Balder lo aveva improvvisamente mollato per seguire una fanciulla piuttosto avvenente che passava per di là, ma prima che Holder potesse minimamente pensare di darsela a gambe, il fratello era tornato indietro e l'aveva costretto a riprendere la strada.

    "... Che bella notizia ..."

    Oltre al sarcasmo sottile come un blocco di marmo, la sua espressione sconsolata lasciava molti pochi dubbi sul suo stato d'animo attuale.
    E irritazione a parte, si chiedeva come facesse Balder ad essere sempre così dannatamente sé stesso qualunque cosa accadesse.



    Edited by ¬Nekoth - 29/5/2016, 16:14
     
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    - Andiamo, fratellino, non fare il musone! - gli disse, mentre gli avvolgeva le spalle con un braccio, e con la mano libera dal guanto armato (si era convinto che "facesse figo" girare mezzo armato per le taverne), gli strizzò una guancia.
    Continuava a chiamarlo "fratellino", soprattutto quando erano in mezzo alle persone, facendo finta di non sapere che, tecnicamente, era Holder il primogenito del parto gemellare.

    Dopo qualche altro passo, in cui Balder sospinse Holder veracemente, arrivarono all'entrata della locanda.
    La porta era aperta e da dentro già uscivano rumori, odori e... Qualche risata femminile, cosa che illuminò ancora di più il volto di Balder.
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    Carminia continuava a trangugiare la sua birra con gusto, parola dopo parola, frase dopo frase, ingannandosi con la scusa che aveva la gola secca per il troppo parlare; baggianate, voleva solo scolarsi il suo drink e, di cosciente decisione, sebbene il sole fuori fosse ancora nel pieno del suo corso. Con suo disappunto, però, forse perché ormai la beveva come acqua, o perché magari in un perenne stato di ebrezza, gliene ci volevano di boccali di birra per riuscire a non reggersi più sulle sue gambe e, la mattina seguente, maledirsi per l'enorme mal di testa che si era causata. Ogni volta, però, ci ricascava con gusto, quasi fosse un gioco; amava troppo la birra. Con un'ennesimo sorso, quindi, terminò il suo boccale e terminò il suo discorso, facendo cenno a Dolores di portargliene un'altra uguale; torn quindi a rivolgere lo sguardo alla nipote intenta a risponderle. "Certo, certo - annuì in maniera sarcastica - nulla di cui mi debba interessare. La conosco troppo questa domanda e questa faccia per sapere che non è vero; e la conosco altrettanto bene per capire che non mi dirai un bel fico secco. Solo una cosa però - e le si avvicinò con un sorriso malizioso, come a metterla sotto pressione per finta - centra qualche quel giovane o una donzella affascinante? Me lo puoi dire!" E colpendola con gomito, attese la sua risposta con ansia, sapendo già che questa però non sarebbe arrivata e che la nipote, così simile a lei, o le avrebbe tirato un pugno, o sarebbe scoppiata a ridere, o l'avrebbe mandata al diavolo; così, si lasciò facilmente distrarre e rapire dal nuovo boccale di birra che la locandiera le poggiò di fronte. L'ascoltò quindi parlare del prendi uova, di come lei l'avesse inventato per potersi aiutare nel costruire complicate diavolerie; le spiegò perché le tecnologie del momento si rompevano facilmente od erano scomode, ingombranti, spesso inutili, tirando poi in ballo qualcosa che lei chiamava bulloni. Che parola strana bulloni, tanto che per un attimo Carminia si perse in strane associazioni mentali; la concentrazione non era il suo forte, a meno che non stesse combattendo. Tornando quindi ad ascoltare il discorso di Charlotte, Carminia continuava ad annuire convinta, approfittando poi della pausa che fece per poggiare il boccale al bancone con fare intellettuale e portarsi una mano al mento. "Quindi non ci faccio niente con le uova, giusto? - Ridacchiò, soprattutto perché questo suo commento avrebbe indispettito la nipote così presa dalla sua passione; si sentì quasi in colpa, tanto da poggiarle una mano sulla spalla con sincero orgoglio - scusami Gwen, ma sai che non ci capisco un cazzo di queste cose: io bevo birra, meno spade e la mattina mi puzza l'alito. Ahimé, è già tanto se so leggere e scrivere. Te invece, con quella testolina! Sei molto più in gamba di me: sai cos'è un bullone! A proposito, che cos'è?" Sebbene se sul volto del Generale era stampato un largo sorriso, davvero non sapeva che diavoleria erano. Preoccupata per nulla di ciò, però, tornò a bere la sua birra; in fondo, sebbene provenisse da una famiglia nobile, aveva vissuto gran parte della sua vita per strada, frequentando loschi posti e loschi individui. Il suo tutore effettivamente era stato Ratif che, per quanto fosse una persona stupenda, un grande uomo, rimaneva comunque rozzo, terra a terra. Aveva tentanti, con le sue poche conoscenze apprese durante gli anni da cavaliere di completare l'istruzione della Von Dorian, ma questa era stata sempre più portata per la spada, sebbene non fosse una stupida. Era però una che ragionava più di pancia, che preferiva una conoscenza pratica della vita, appresa vivendola, piuttosto che leggerla sui libri e, molto spesso, questa cosa le era stata più utile nel salvarsi la pellaccia. Lasciò quindi che la nipote concludesse il suo discorso, guardandola con curiosità, orgoglio nascosto e sorseggiando con più calma la sua birra. Alla domanda quindi postale, appoggiò il boccale e ci pensò un attimo su. "Uhm, qualcuno sicuramente c'è. Ho alcuni amici che sarebbero interzati a questi tuoi discorsi, un giorno te li presenterò. Poi ho sentito parlare di una donna, una con un bel paio di, beh, gemelle - disse, mimando con le braccia la presenza di un seno incredibilmente poderoso - che è una specie di fabbro magico, o una cosa del genere, non ho capito molto. Comunque mi han detto che è di larghe vedute ed ha molti clienti, seppur credo che molti siano più fedeli alla sua vista che ai suoi servizi…" mentre ne parlava, non poté trattenere un sorrisetto compiaciuto, stuzzicante, immaginandosi anche lei come uno di quegli avventori fissi, più interzati alla scollatura piuttosto che le armi; si schiarì la voce riprendendosi da quei pensieri e bevve un lungo sorso di birra per raffreddare gli animi. "Un giorni di questi dovrò andarci per questioni legate all'Accademia, se vuoi puoi venire con me." Certo si era lasciata distrarre dal pensiero di quelle enormi, bellissime poppe che la gente tanto acclamava, però perlata sul serio alla nipote. Credeva nel suo potenziale e, sebbene non ci capisse molto, quelle poche volte che l'aveva vista all'opera, ne era rimasta sbalordita per la bravura, la passione e la cura; negli occhi aveva visto la stessa luce e lo stesso fuoco che bruciavano dentro a Carminia quando si parlava di combattere, di svolgere il suo ruolo di Cavaliere di Makrat. Non aveva dubbi di quanto quella scapestrata tappetta sarebbe arrivata lontano, con o senza il suo aiuto, sebbene per lei ci sarebbe stata sempre. In ogni caso, Carminia avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per riuscire a farla arrivare dove voleva; non che le avrebbe servito la pappa pronta, non credeva in ciò. Charlotte si sarebbe certo formata da sola, ma la Von Dorian sarebbe stata li per spingerla quando serviva, per raccoglierla quando cadeva, per spaccare la faccia a chi osava mettersi tra lei ed il suo destino. Senza che si capisse perché, la donna gonfiò il petto con un profondo respiro orgoglioso, sospirando e bevendo un lungo sorso di birra. "In ogni caso, che tu finisca a fare la garzona o la super fabbra dalle tette enormi, anche se non credo dato la situazione di partenza - disse prendendola in giro ed indicando il suo corpicino non ancora maturo - dacci dentro e spacca il culo a tutti!" E così dicendo, alzò il boccale brindando senza dirlo alla nipote ed al suo successo. Stava quindi bevendo avidamente, quando l'occhio ormai allenato con anni di combattimento, non poté non cadere su due nuovi avventori che stavano entrando in quel posto. Sebbene quello fosse un riflesso inconscio, la Von Dorian lo benedisse poiché la portò a notare due ragazzi identici sulla soglia della locanda, giovani, promettenti, ben formati. Che manzi! non si trattene dal pensare la donna. "A proposito di darci dentro: sono già ubriaca e ci vedo doppio, oppure abbiamo fatto scacco…Non li ho mai provati due gemelli." Ma prima che potesse fare qualsiasi mossa, la nipote se ne arrivò con una frase che la colpì alla sprovvista, facendola andare di traverso la birra con sonori colpi di tosse. Girandosi verso quest'ultima, Carminia si tolse gli schizzi dal volto per fissarla un attimo; rendendosi conto poi della sua espressione, si riprese subito. "Certo! Domani lo scrivi che così poi lo diamo a Namrec." sapeva che la giovane non parlava spesso ne volentieri con la madre, sebbene le volesse bene e non lo avrebbe mai ammesso, e quindi quando le giungevano queste richieste da un momento all'altro, il Generale ne rimaneva un po' spiazzato, sebbene felice sia per Charlotte che per Fihim.
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    "Tsk"


    Ancora con quella storia del fratellino. Davanti agli altri faceva sempre così, però poi quando andavao in missione era sempre Holder a salvargli il culo. Allora non era più tanto "fratellino".
    Notò solo in quel momento che il gemello indossava il guanto di ferro e alzò un sopracciglio, perplesso; che senso aveva portarsi un'arma del genere? Doveva essere solo sciocco esibizionismo, ma in compenso avrebbe tenuto bene alla larga eventuali attaccabrighe. E se non fosse bastato il guanto di Balder, ci avrebbe pensato Holder stesso a sistemare qualunque balordo avesse osato disturbarli, se non altro perché il gemello sarebbe stato troppo sbronzo per riuscire.
    Quando giunsero davanti alla taverna, Holder non fece caso alle risate femminili, né alla reazione del gemello; solo quando entrarono non poté fare a meno di notare due donne - la cui differenza di età si notava più che altro perché una di loro era chiaramente molto giovane - che chiacchieravano amabilmente accompagnate dai boccali che un'ostessa serviva loro; e a proposito dell'ostessa, Holder non poté fare a meno di osservare mentalmente quanto le sue previsioni sul gemello che flirtava con lei potessero essere errate.
    Fu in quel momento che realizzò che probabilmente si sarebbe comunque rifatto - o ci avrebbe provato, almeno - con una delle due donne nella taverna, o forse entrambe.
    Non poté fare a meno di girare gli occhi, prevedendo che quella giornata sarebbe stata molto, molto lunga.
    Diede un ultimo, disperato strattone col braccio, nella speranza di potersi liberare dalla stretta del fratello, ma come i primi tentativi anche quello si dimostrò vano. Sperava solo che, con quelle due presenze, l'attenzione di Balder verso di lui sarebbe calata drasticamente, permettendogli di rimanere sobrio.


    Edited by ¬Nekoth - 29/5/2016, 16:15
     
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